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Oltre la crisi. Identità e bisogni del volontariato livornese

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I risultati di un’importante ricerca sul volontariato toscano, promossa da Cesvot e realizzata dall’Università di Pisa, sono stati presentati e discussi venerdì 19 febbraio nella sede di Fondazione Livorno, nel seminario Oltre la crisi. Identità e bisogni del volontariato livornese, organizzato da Cesvot in collaborazione con la Fondazione.
La ricerca, pubblicata nella collana Cesvot I Quaderni e disponibile anche online su www.cesvot.it, traccia un quadro molto dettagliato del volontariato in Toscana. Coordinato dal prof. Andrea Salvini, dell’Università di Pisa, il gruppo di ricerca ha infatti analizzato anche tutta la rete di servizi messi a disposizione dalle singole associazioni attive nelle diverse realtà territoriali. In particolare sono descritte le attività portate avanti dalle undici Delegazioni di Cesvot, tra cui Livorno. I dati, raccolti provincia per provincia, presentano una fotografia molto interessante e utile per chi opera nel volontariato, nel terzo settore e nelle politiche sociali.
Al dibattito, moderato Mauro Zucchelli giornalista de Il Tirreno, sono intervenuti Luciano Barsotti, Presidente Fondazione Livorno
Riccardo Vitti, Vicepresidente Fondazione Livorno
Fiorella Cateni, Presidente Delegazione Cesvot di Livorno
Ina Dhimgjini, Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Livorno Andrea Salvini, docente di Metodologia e tecniche della ricerca sociale dell’Università di Pisa e coordinatore della ricerca
Rossana Meacci, Responsabile Settore Volontariato Fondazione Livorno

Nonostante la crisi, a Livorno continuato ad essere attive tantissime associazioni di volontariato. Sono 300 quelle in città, la maggior parte delle quali impegnate in ambito sociale (32%), seguite da quelle impegnate in ambito sanitario (28%). Nello scenario livornese, la quasi totalità delle associazioni svolge attività rivolte alla popolazione e ha prevalentemente grandi e medie dimensioni (con un calo delle grandi negli ultimi anni; dal 2005 si sono formate soprattutto piccole e medie associazioni).
Eppure, la crisi c’è e si vede, anche nel volontariato. Evidente segno della crisi è il fatto che il 40% delle associazioni trae le sue origini dal passato (prima del 1994) con una scarsa percentuale di nate post 2010 (8,8%). Delle nate prima del 1994, il 46% opera nel sanitario. Le più giovani si dedicano al volontariato ambientale, oltre al sanitario e al sociale.
Ulteriore segno della crisi è la tendenza all’autofinanziamento (delle nate post 2010 il 63,6%, e soprattutto nel culturale e ambientale) con una prevalente assenza di convenzioni (58%), che sembrano essere prerogativa delle grandi (62,9%). Sono prive di convenzioni le nate negli ultimi dieci anni, il 77,6% delle piccole, e tutte le associazioni che operano nel culturale. Solo nel settore sanitario, invece, le associazioni che hanno rapporti con enti superano la metà, e riceve finanziamenti pubblici il 43,2%.
La crisi socio-economica genera una preoccupazione per gli effetti congiunturali in negativo; sono le associazioni medie (48% di esse) e grandi (45,5%) a risentirne maggiormente. Le conseguenze ineriscono diffusamente anche al calo dei fondi (meno donazioni private, taglio dei finanziamenti pubblici, ritardo nei pagamenti, convenzioni non rinnovate/bloccate, impossibilità di aumentare le quote associative). Calano le adesioni, soprattutto nelle associazioni piccole. Con la crisi si accresce l’area dei bisogni. Per migliorare la vita associativa, si chiede di favorire l’accoglienza e il tutoraggio verso i nuovi volontari, ma anche di migliorare le forme di comunicazione interna (richiesta dalle piccole associazioni).
Per migliorare l’incidenza sul territorio, si rileva la necessità di risorse umane (per favorire il ricambio generazionale; nel sanitario, sociosanitario e volontariato internazionale) e logistico-organizzative (nei settori culturale, ambientale e protezione civile). Si rileva anche l’importanza di snellire il rapporto con gli enti pubblici per il 23,5% delle grandi associazioni. Per incrementare l’offerta di servizi, e quindi poter intervenire anche in nuovi ambiti di azione, si chiedono trasversalmente risorse economiche.
Se le associazioni livornesi hanno compreso come sia necessario mettere al centro i servizi, e quindi acquisire le competenze e le modalità per garantirli, rispetto al futuro percepiscono ampiamente il declino dei requisiti di gratuità e spontaneità (44,4%), ipotizzando una crescente aziendalizzazione del settore (15,8%), un passaggio a forme organizzative tipiche dell’economica sociale (10,5%), ed una maggiore dipendenza dalle istituzioni pubbliche (9,8%). Tuttavia, per il 15,8% delle associazioni un modo per affrontare il futuro in maniera proficua è proprio recuperando della tradizionale tendenza etica e politica del volontariato.

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