Origini
Dal 2013 la denominazione Fondazione Livorno ha sostituito la vecchia “Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno”, costituita nel 1992 per ereditare il patrimonio e l’attività di beneficenza esercitata fino a quel momento dalla Cassa di Risparmi di Livorno, fondata nel 1836 con scopi filantropici.
La storia della Fondazione affonda le radici nell’Ottocento. È all’inizio di questo secolo, infatti, che si diffondono in Europa, e dal 1829 anche in Toscana, le casse di risparmio. Si tratta di una tipologia di istituto di credito animato da intenti filantropici organizzato per raccogliere il piccolo risparmio. Queste casse si distinguono dalle banche perché sono istituzioni senza fini di lucro. Le più antiche, le Sparkasse, nascono in Germania, le Caisse d’Epargne in Francia, le Caja o Caixa in Spagna. Istituzioni simili sono le savings and loans associations negli Stati Uniti, le building societies nel Regno Unito, le credit unions in altri paesi. In Italia, le prime casse di risparmio vengono costituite nel XIX secolo in Veneto e in Lombardia, prima in assoluto è la Cassa di Risparmio di Venezia, fondata il 12 gennaio 1822.
Negli anni Trenta dell’Ottocento, Livorno assiste alla nascita di associazioni ricreative (l’Accademia del
Casino e il Casino del Commercio), scolastiche (la Società di mutuo insegnamento) e culturali (l’Istituto
dei Padri di famiglia). Gli organizzatori sono esponenti della vecchia nobiltà cittadina iscritti all’ordine dei gonfalonieri, negozianti, banchieri, possidenti, professionisti, funzionari granducali mossi da intenti filantropici, ma anche da dinamiche associative tra élites locali.
AGEVOLARE IL RISPARMIO DEL CETO POPOLARE
Con l’intento di agevolare il risparmio del ceto popolare, nell’aprile 1835, un gruppo di notabili locali, Carlo Grabau, Carlo Sansoni, Santi Mattei, Cristiano Augusto Dalgas. Luigi Giera e Luigi Fauquet, fa circolare per Livorno “il progetto per una società anonima in azioni diretta a istituire una Cassa di Risparmio affiliata alla Cassa centrale di Firenze”. Il gruppo dichiara di essere spronato dalla convinzione diffusa del beneficio che tale istituzione “apporta alla classe meno agiata del popolo”. La proposta, approvata con rescritto granducale il 22 maggio 1835, raccoglie in breve tempo l’adesione di 121 azionisti, che conferiscono la dote iniziale complessiva di 7.200 fiorini. La contabilità sarà tenuta
in fiorini fino al 1860 quando verrà adottata la lira italiana.
Tra i sottoscrittori si contano numerosi appartenenti alle varie comunità della Livorno multietnica. La sola Congregazione olandese alemanna, che riuniva negozianti di confessione religiosa luterana e calvinista, è presente con15 soci. Oltre ai cittadini cattolici toscani aventi accesso alle cariche comunali e del governo periferico del granducato di Toscana, all’appello rispondono anche esponenti delle nazioni estere delle più diverse confessioni religiose: ebrei, tedeschi, olandesi, belgi, danesi, svizzeri, inglesi, greci. Otto di questi sono consoli: Claudio Binard (Belgio), Cristiano Augusto Dalgas (Danimarca), Guglielmo De Yong (Olanda), Pietro Fehr Walser (Svizzera), Carlo Grabau (Amburgo, Hannover e Lubecca), Nicola Manteri Portogallo e Brasile), Odoardo Mayer (Wurtemberg), Panaiotti Palli (Grecia). Il 28 giugno, nel palazzo comunale, si riunisce l’assemblea dei soci che elegge i dieci componenti del primo consiglio di amministrazione. Presidente viene nominato il balì Albizzo Martellini, gonfaloniere di Livorno in carica, segretario il balì Ferdinando Sproni; consiglieri: Santi Mattei, Luigi Fauquet, Luigi Giera, Cristiano Augusto Dalgas, Giovanni Paolo Bartolommei, Carlo Grabau, Fortunato Regini e Carlo Sansoni.
1836, NASCE LA CASSA DI RISPARMI DI LIVORNO
Alla fine del 1835 e nei primi mesi del 1836 si stende il regolamento e la bozza di manifesto che saranno fatti circolare all’interno delle istituzioni e nei luoghi di lavoro della città.
Si arriva così al 4 aprile 1836, data di nascita della Cassa di Risparmio di Livorno che poi modificherà la propria denominazione originale sostituendola con Cassa di Risparmi di Livorno. Il rogito per la formale attivazione della società viene stipulato davanti al notaio Paolo Sambaldi.
Pubblicato il Manifesto, il 15 maggio 1836, nei locali messi a disposizione gratuitamente dal Granduca in via della Doganetta (l’attuale tratto di via della Posta che fiancheggia il palazzo della Provincia), apre la sede della nuova banca. Inizialmente la cassa osserva un orario di apertura al pubblico assai ridotto, dalle dieci a mezzogiorno della domenica.
È aperta al pubblico durante il giorno festivo per agevolare l’accesso della classe lavoratrice invitata a “porre in serbo il denaro che esubera al bisogno presente”. Secondo il regolamento, si possono fare singoli versamenti da un minimo di un decimo di fiorino a un massimo di venti fiorini, per un accumulo totale di 5.000 fiorini. Tra il 15 maggio e il 31 dicembre 1836 vengono raccolti 42.376,14 fiorini, restituiti 2.249,15 e corrisposti 328,24 per interessi passivi sui depositi. La relazione del segretario Ferdinando Sproni rivela un andamento assai difforme dai filantropici intendimenti dei fondatori. Evidenzia infatti che prevalgono “i versamenti effettuati dai ceti più abbienti, al fine di lucrare l’interesse corrisposto dalla Cassa, magari in attesa di opportuni e più redditizi investimenti”.
Numerosi clienti, infatti, lucrano furbescamente su questa opportunità eludendo il limite imposto ai depositi fruttiferi e aprendo libretti sotto falso nome, grazie ad una norma che consente a chiunque presenti il documento di essere considerato il legittimo possessore o il mandatario. La circostanza viene evidenziata nel volume di E. Senzi, La Cassa di Risparmi di Livorno. Note storiche compilate sui documenti d’archivio, Livorno 1911, che ricostruisce i primi decenni di attività della Cassa di Risparmi.
ENRICO MAYER, IL SALVADANAIO
Per sensibilizzare operai, contadini e altri rappresentanti del proletariato e incoraggiarli ad una cultura del risparmio, Enrico Mayer, educatore e fra i primi sottoscrittori della Cassa, pubblica nel 1837 un’operetta dal titolo emblematico, Il salvadanaio, una serie di sei racconti che hanno per protagonisti il contadino, la massaia, il facchino, il garzone di bottega, i servitori e gli operai.
Tra morale, precetti e esempi di vita, con il dialogo dell’abate Raffaello Lambruschini per introduzione, l’opera viene intitolata significativamente “Chi s’aiuta Iddio l’aiuta o vantaggi della Cassa di Risparmio”. Purtroppo, l’iniziativa tenacemente perseguita dalla Cassa per allargare al ceto popolare l’inclusione nella platea dei risparmiatori registrerà anche in seguito uno scarso successo. Come fa notare Renata Randazzo nella sua tesi di laurea La Cassa di Risparmio di Livorno (1836 -1876). Fondazione e affiliazione alla Cassa Centrale di Risparmi e depositi di Firenze, sviluppo e sua autonomia, discussa all’Università degli Studi di Pisa, nell’Anno Accademico 1986-1987, relatore prof.ssa Giuliana Biagioli, “L’Istituto almeno in parte poteva assolvere anche il compito benefico di diffondere il risparmio tra i meno abbienti, coadiuvando altri enti. Presso la Cassa infatti venivano depositati anche i capitali destinati ad iniziative benefiche ad opera di filantropi o enti pubblici”.
Un caso citato è quello di Aristide Castelli che tra il luglio 1861 e il 1863 deposita 2.000 lire “da devolvere tra le ragazze povere della pieve suburbana di San Jacopo in Acquaviva, mediante l’emissione di 17 libretti di risparmio a nome delle beneficiate per sussidi dotali”. Anche il Comune di Collesalvetti nel 1863 assume un’iniziativa analoga.
AGEVOLAZIONI AGLI ENTI DI BENEFICENZA
Fin dal 1837, in realtà, l’Assemblea dei soci aveva deciso di estendere anche agli enti di beneficenza pubblici e privati le agevolazioni consentite dalla Cassa Centrale ai depositi dei pupilli e sottoposti alla giurisdizione del Magistrato Supremo di Firenze. Queste direttive permetteranno di accogliere nel 1863 le richieste di depositi della società Operaia di mutuo soccorso “Fratellanza artigiana d’Italia”, della Società dei garzoni caffettieri di Livorno e della Società dei maestri d’ascia.
Salvaguardia dei capitali e redditività degli investimenti costituiscono gli obiettivi inderogabili nelle scelte di collocazione delle somme accumulate. La Cassa può far credito ai Comuni ma non ai privati, e le eccedenze sono riversate nella Cassa Centrale di Firenze che assicura un interesse del 3,80% destinato a salire al 5%. Gli utili di esercizio, invece, vanno ad alimentare il fondo di riserva. Solo nel 1873 la cassa comincia ad aprire ai privati concedendo prestiti garantiti da ipoteca.
AIUTI ALLA POPOLAZIONE
Risale al 1857 un primo orientamento dell’Assemblea dei soci della Cassa di Risparmi di Livorno ad erogare in beneficenza parte degli utili, da ripartirsi in tre tipi di interventi: soccorsi alla popolazione “in occasioni di calamità, di epidemie, di pubbliche disgrazie; premi a favore di “proletari più morali, più diligenti nel lavoro e nel versare risparmi alla Cassa” e, in modo più consistente, sovvenzioni alle istituzioni preposte alla all’istruzione del popolo. È l’illustre psicologo Augusto Dussauge, segretario del Consiglio di amministrazione dal 1843 al 1876, a sollecitare quest’ultimo indirizzo illustrando il bilancio del 1857:
“Le Casse di Risparmio – sottolinea a questo proposito – non debbono ammassare ricchezze, ma conseguito l’intento di provvedere una dote sufficiente onde far fronte ad eventuali, ma pur sempre determinabili e circoscritti sinistri, debbono erogare l’eccedenza dei loro profitti in opere che intendono realmente a quei generali benefici di cui sonosi fatte istrumento e che la Società è in diritto di attendere come resultamento ultimo di quelle istituzioni, le quali non a caso o per abuso di parole soglionsi denominare filantropiche”.
Ma la Cassa Centrale di Firenze non accoglie la proposta in quanto il regolamento dispone che l’utile netto del bilancio annuale deve andare tutto al fondo di riserva. Un’altra risposta negativa arriva nel 1873 alla richiesta di modificare il regolamento per permettere l’erogazione di “una parte degli utili in opere di beneficenza e promotrici di pubblica moralità”, dato il progressivo aumento del patrimonio della Cassa livornese e in particolare del fondo di riserva. È in quell’occasione che il socio Enrico Arbib si augura una piena emancipazione della Cassa di Risparmi di Livorno dalla Cassa Centrale di Firenze “per vivere di propria vita, essere padrona assoluta di sé e poter deliberare qualunque disposizione che fosse reputata opportuna e dicevole agl’interessi della città”.
LA SEPARAZIONE DALLA CASSA DI FIRENZE
La Cassa Centrale ribadisce anche in questa occasione “la propria repugnanza a cedere al sentimento filantropico che informava la proposta di fronte a tante incognite amministrative” che consigliavano prudenza. Ormai Il contenzioso è aperto e i soci della Cassa livornese decidono di proseguire in autonomia. Si sbrigano tutte le pratiche necessarie alla separazione e alla liquidazione degli interessi dei due istituti e nelle sedute del 12, 15 e 22 marzo 1876 la Società approva il nuovo Statuto, che viene trasmesso al governo italiano. Il R.D. 28 maggio 1876 n. 1279 riconosce alla Cassa la qualità di ente autonomo.
Lo Statuto entra in vigore il 1° gennaio 1877 e prevede la destinazione annuale in beneficenza del 5% sugli utili netti realizzati. I primi modesti interventi sono indirizzati “in benefizio dei miseri ed a incoraggiamento delle opere di pubblica assistenza”. Poi, dal 1886 – cinquantenario dell’Istituto – conferimenti più consistenti vengono devoluti a favore di “istituti di beneficenza e altre opere di carità e pubblica utilità”, grazie alle riforme dello Statuto che aumentano la percentuale annuale della riserva a tale scopo. Le elargizioni più generose vengono destinate alla Congregazione di carità, agli Asili infantili, al Ricovero di mendicità, agli Spedali Riuniti. Numerosi altri soggetti ricevono importi minori, soprattutto se svolgono attività benefica. La Società Volontaria di Soccorso, per esempio, per l’edificazione della sua nuova sede in via S. Giovanni, riceve cinque contributi da 500 lire, come ricordano le tavole marmoree del palazzo. Ma è soprattutto in occasione di epidemie, di eventi calamitosi e di eventi bellici che la Cassa di Risparmi sostiene i comitati di soccorso con propri contributi.
NUOVE NECESSITÀ E NUOVI ORIENTAMENTI
Nel 1880, in Italia, operano 183 casse di risparmio, distribuite in tutto il paese. In Emilia, in Romagna e nelle Marche ne nascono numerose e di piccole dimensioni, mentre in Lombardia la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde (Cariplo) assume subito un ruolo di primo piano sia a livello regionale che nazionale.
Con il passare del tempo emergono nuove sensibilità e nuovi orientamenti. Esemplare è l’acquisto fatto dalla Cassa di Livorno, nel 1887, di Palazzo Stub, che viene concesso in uso gratuito alla Deputazione degli asili infantili di carità. Sulla facciata principale dell’edificio, ora sede degli armatori D’Alesio, campeggiava ancora all’inizio degli anni Ottanta del Novecento la scritta “Asilo Cassa di
Risparmi”. In memoria di Umberto I, assassinato dall’anarchico Bresci nel 1900, viene concesso agli Spedali Riuniti un contributo di 45.000 lire per l’acquisto di villa Corridi, sede del Sanatorio per i tubercolosi. Nel corso del ventennio fascista, sotto la voce “Opere di iniziativa del regime” figurano importanti erogazioni: 300.000 lire per la costruzione della Casa della madre e del fanciullo, 130.000 per la Casa del fascio, 250.000 per lo Stadio Comunale, 300.000 per la palestra di via Bosi ancor oggi intestata alla Cassa di Risparmi, 400.000 per la colonia marina del Calambrone; 90.000 per l’Asilo principessa Maria di Piemonte. Per quanto riguarda le assegnazioni minori, si intensificano i conferimenti a sostegno del fascismo (periodico Critica fascista, Università fascista G. Carducci, Opera nazionale Balilla, Ente attività fasciste, Opere assistenziali del fascio livornese) tanto che l’estensore della Relazione annuale decide di modificare il titolo della tradizionale rubrica da “Beneficenza” in “Erogazioni”: l’accorgimento lessicale è evidentemente dettato dalla diversa destinazione dei proventi.
LA SEDE DI VIA DEL FANTE, L’ACCADEMIA DEI FLORIDI E LE PALAZZINE IN COTETO
Il raggiungimento di un solido assetto economico aveva consentito nel 1873 l’acquisto della nuova sede in via del Fante, destinata a rimanere per 75 anni la sede di una rete di filiali che nel Novecento si estenderà all’intero territorio della provincia di Livorno.
Nel 1881, per tutelare il proprio credito ipotecario, la Cassa acquista dall’Accademia dei Floridi, proprietaria del teatro San Marco, l’annesso Casino, che per la sua ampiezza, per le sue comodità e per i suoi ornamenti, era stato destinato, in occasione di pubbliche ricorrenze o di speciali circostanze, al ricevimento di principi e a feste per scopi di beneficenza, con qualche profitto per l’Accademia. Il compito di prendere decisioni sull’uso e la manutenzione del Casino viene attribuito a una commissione, che ha facoltà di deliberarne la concessione a titolo oneroso o gratuito in caso di beneficenza. Provvedimenti significativi per la regolamentazione delle casse di risparmio vengono varati dal governo nel 1888, per distinguerle dalle altre aziende di credito relativamente alla loro funzione sociale. Nel 1921 il Consiglio di amministrazione, che già aveva sostenuto con mutui l’attività dell’Istituto autonomo case popolari, dà corso ad un autonomo intervento nel settore edilizio, acquistando i 324.000 mq della fattoria di Coteto, “in amena e aperta posizione”. Su una porzione dell’area, l’Azienda, appositamente costituita, edifica 16 palazzine su due piani, articolate in 32 appartamenti, ciascuno dei quali dorato di giardinetto. Si tratta di un intervento di pregevole qualità sia sotto il profilo urbanistico che architettonico.
INCORPORATI I MONTI DI PIETÀ
Nel 1927 viene emanata la nuova normativa di riforma del sistema creditizio, che prevede l’incorporazione dei Monti di pietà nelle Casse di Risparmio. Per comprendere il legame che unisce le fondazioni ai Monti dei Pegni e alle Casse di Risparmio, occorre risalire allo spirito che spinse i frati francescani, nel secolo XV, a creare i Monti di pietà. A quell’epoca i contadini che dovevano comprare attrezzi, o i mercanti che avevano bisogno di mezzi di trasporto, potevano rivolgersi solo agli ebrei che disponevano di denaro “circolante” ma che purtroppo applicavano tassi d’interesse troppo alti.
Dopo aver tuonato contro gli ebrei “usurai” per quaranta giorni, il Venerdì Santo i francescani passavano con i carri e sull’ultimo, raffigurante il calvario (Mons pietatis) si raccoglievano le offerte della comunità per costituire quel capitale al quale i nuovi protagonisti dell’economia avrebbero potuto attingere con bassi tassi d’interesse. Tra il 1470 e il 1482 ne nacquero circa 100, dall’Umbria al Veneto.
A fine Ottocento quei patrimoni furono incamerati nelle Casse di Risparmio e con esse le comunità locali crebbero in ricchezza sinergica. In realtà, la legge del 1927 prevedeva che venissero incorporati i Monti di pietà con depositi inferiori ai cinque milioni. Anche quello di Livorno, però, nonostante disponga di una massa fiduciaria maggiore – circa 20 milioni di lire – e gestisca una ben avviata Sezione di credito e risparmio, è costretto a soccombere agli indirizzi politici decisi ad agevolare l’incorporazione nelle Casse di Risparmio anche dei Monti più solidi.
Si pongono così le premesse per un ampliamento dell’orizzonte operativo dell’Istituzione livornese. Dopo una trattativa tesa e serrata fra i presidenti dei due Istituti livornesi, con la convenzione sottoscritta il 1° luglio 1928 “la Cassa di Risparmi rileva la Sezione credito e risparmio del Monte di pietà, mentre la sezione pegno conserva la propria personalità giuridica, venendo però amministrata dalla Cassa di Risparmi che si assume l’onere di garantire il finanziamento e il pareggio di gestione”.
Conseguentemente a questa operazione, la Cassa di Risparmi subentra nella gestione delle filiali del Monte di pietà in Ardenza, Castiglioncello, Gabbro, Quercianella, Rosignano marittimo e Cecina. La filiale di Cecina, scarsamente produttiva, viene poco dopo liquidata.
Anche l’ampliamento della Provincia del 1925 favorisce lo sviluppo territoriale della Cassa, agevolato in particolare nel 1932 grazie all’incorporazione della Cassa depositi e prestiti di Campiglia marittima e delle relative filiali in Piombino, Venturina, San Vincenzo e Castagneto Carducci.
LA GUERRA, I BOMBARDAMENTI, LA RICOSTRUZIONE
Questa tendenza positiva subisce una brusca interruzione con il secondo conflitto mondiale, non solo per la contrazione in termini reali dell’ammontare dei depositi ma anche per i pesanti condizionamenti delle incursioni aeree degli alleati. In uno dei bombardamenti che hanno portato alla distruzione di gran parte della città, il 28 giugno 1943, rimane danneggiata la sede centrale di via del Fante e l’edificio adiacente di cui la Cassa era comproprietaria viene raso al suolo. Gravi danni subisce anche la sede del Monte dei Pegni. Nel novembre dello stesso anno il comando tedesco ordina l’abbandono del centro storico.
La situazione di emergenza impone il trasferimento in zone periferiche di tutti i servizi della Cassa e del Pegno e mette a dura prova Amministratori e personale gestiscono gli spostamenti con energia e intelligenza. Direttore in quegli anni travagliati, Vincenzo Razzauti annota che “le vicende vissute e le avversità felicemente superate” sono state “fonte di accresciuto prestigio per la Cassa che mai abbandonò la sua città. Con il passaggio del fronte, nel luglio 1944, risparmiatori e correntisti rientrati in città tornano agli sportelli dell’istituto. Alla fine dell’esercizio 1944 già i depositi amministrati rappresentano una cifra più che doppia dell’anno 1940 ed a fine 1945 sono saliti a oltre 600 milioni e cioè a sei volte l’anteguerra, risultato più che apprezzabile, pur tenendo conto della dinamica inflazionistica che in quegli anni ha colpito la valuta italiana. Nella ricostruzione della città la Cassa di Risparmi gioca un ruolo assai incisivo “con l’assistere mediante una efficace e prudente azione creditizia l’attività edile e l’economia immobiliare”, dando anche un apporto diretto all’avviamento della ricostruzione con il pronto recupero del proprio patrimonio immobiliare.
In questo contesto si colloca la costruzione della nuova sede di piazza Grande, progettata dall’architetto Luigi Vagnetti e realizzata dalla Società Generale Immobiliare in poco più di un anno. La prima pietra è posta il 22 dicembre 1948 e già nel marzo del 1950 l’opera è terminata e inaugurata.
Nella seconda metà del Novecento l’Istituto estende ulteriormente la rete delle sue filiali, articolandole in particolare nel capoluogo. Con la forte crescita della massa fiduciaria si coniuga il tradizionale interesse ad allargare la platea dei depositi al ceto popolare, grazie anche alla annuale celebrazione del 31 ottobre, giornata del risparmio, che si protrae fino ai primi anni Settanta.
Nello stesso tempo la Cassa di Risparmi è quindi in grado di intensificare il suo ruolo di sostegno alle più varie iniziative nei settori dell’arte, della cultura, della sanità e dell’istruzione. Quest’ultimo campo d’azione dal 1992 resta prerogativa della Fondazione, erede naturale della Cassa di Risparmi fondata nel 1836.
1992, NASCE LA FONDAZIONE
La Fondazioni di origina bancaria nascono agli inizi degli anni Novanta del Novecento ed ereditano l’attività di carattere sociale che svolgevano le Casse di Risparmio e le Banche del Monte. Le originarie Casse di risparmio ed i Monti di credito su pegno, erano infatti sorti agli inizi dell’Ottocento (ma
molti di loro anche prima: per es. il Monte dei Paschi di Siena risale al Quattrocento) come istituti nei quali convivevano due anime: quella rivolta all’esercizio del credito e quella deputata a realizzare interventi di utilità sociale nei confronti delle loro comunità di riferimento.
L’esigenza di uniformare il sistema bancario si era manifestata già qualche anno prima. Il legislatore aveva infatti ritenuto opportuno liberare le banche dall’ipoteca politica che aveva prodotto una categoria di banchieri improvvisati e inamovibili, emanazione dei partiti, fautori di una gestione poco economica.
Per tradurre la “foresta pietrificata” – come la definiva Amato – in un sistema creditizio dinamico e competitivo si pensò di convertire gli Enti pubblici economici in società per azioni e fu così che tutto il sistema bancario si avviò verso una profonda trasformazione. Le aziende bancarie vennero tramutate in società di nuova formazione e gli enti originari diventarono Fondazioni con finalità di interesse collettivo.
LA LEGGE AMATO E IL DECRETO D’ATTUAZIONE
Il percorso della riforma bancaria trova precursori già nei primi anni Ottanta, quando Beniamino Andreatta, allora Ministro del Tesoro, mise in moto, al centro studi Arel, un consistente lavoro di ricerca per la riforma delle banche pubbliche e delle casse di risparmio.
Il suo obiettivo, politico e intellettuale, era quello di liberare il settore creditizio dalla presenza dello Stato e dei partiti. Solo così – pensava – le banche avrebbero potuto conquistare quel dinamismo e quella competitività di cui avevano bisogno. La questione, comunque, venne alla ribalta nel gennaio 1988, quando i Banchi Meridionali (Banco di Napoli, Banco di Sicilia e Banco di Sardegna) si presentarono al Ministro del Tesoro Amato con i loro cahiers de doléances per chiedere la ricapitalizzazione. Amato non volle rischiare di buttare risorse in un pozzo senza fondo e condizionò il rifinanziamento ad una riforma che convertisse le banche in S.p.A.
Il Ministro riteneva che quel sistema bancario fosse fatto di “nani” e che non ci sarebbe mai stato un vero salto di qualità se quelle banche fossero rimaste tutte legate al proprio territorio, prive della capacità di competere a livello internazionale e di ricapitalizzarsi nel momento in cui fosse stato necessario. Trasformarle in S.p.A. significava dar loro la possibilità di andare sul mercato, capitalizzarsi, fondersi. Il dibattito coinvolse il governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi che rese ufficiale la propria posizione e spiegò quale doveva essere la via da seguire per trasformare le banche in società per azioni.
Per Ciampi, il modello societario poteva essere adottato direttamente o in via indiretta, attraverso lo scorporo dell’attività bancaria e il suo conferimento ad una società per azioni. Per le banche pubbliche, secondo il governatore, era più conveniente la seconda soluzione: l’operazione poteva avvenire
attraverso una modifica statutaria e avrebbe consentito di cogliere i vantaggi del modello societario, pur
conservando i tratti sostanziali originali.
Amato propose un testo diverso. E da qui cominciò un lungo dualismo, tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia, per non perdere il controllo sulle banche interessate alla riforma. A più riprese si introdussero correzioni e si limarono i progetti e alla fine, dopo un cammino pieno di contrasti durato due anni, in cui la disputa sul percorso giuridico da adottare si intrecciò con la mediazione politica, il 30 luglio 1990, la riforma delle banche pubbliche diventava legge.
Si chiamò Legge Amato, ma intanto Ministro del Tesoro era diventato Carli, che, a settembre, dette mandato al direttore generale del Tesoro, Mario Sarcinelli, di mettere a punto i decreti delegati di attuazione della riforma. Nella commissione da lui presieduta collaborarono i tecnici della Banca d’Italia che offrirono un contributo determinante per indicare le procedure di trasformazione delle Banche pubbliche e delle Casse di Risparmio in S.p.A.
Nacque così il Decreto Legislativo 356 approvato il 20 novembre 1990. Le Fondazioni che, in applicazione della legge Amato, detengono la partecipazione azionaria di banche e Casse di Risparmio – recitava il decreto – sono enti che perseguono fini di interesse pubblico e di utilità sociale preminentemente nei settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte e della sanità, ed anche finalità di assistenza e di tutela delle categorie sociali più deboli. Banche e cultura – due mondi lontani – con la benedizione del decreto, si incontrarono.
UNA TRASFORMAZIONE RADICALE
Anche a Livorno ci si adegua alle nuove disposizioni. Il 2 settembre 1991 la Cassa di Risparmi chiede al Presidente del Tribunale la nomina di un Collegio di tre esperti in materia bancaria.
Il giorno successivo vengono designati l’avvocato Giuseppe Batini, il professor Umberto Bertini e il professor Alessandro Cerrai. Il collegio redige la relazione di stima dell’azienda bancaria e la consegna, con giuramento, al Presidente del Tribunale. Contemporaneamente, il Consiglio di amministrazione della Cassa predispone e approva il processo di ristrutturazione. E anche l’assemblea dei soci della Cassa esprime il proprio parere favorevole. Espletate tutte le procedure, il Ministro del Tesoro approva il progetto di ristrutturazione e il nuovo Statuto.
È il 14 maggio 1992 e il dottor Lucio Capparelli, alle 18.50, incontra il notaio Roberto Mameli nei locali della Cassa di Risparmi di Livorno, al n. 21 di piazza Grande. Alle 16.55 si è conclusa l’“adunanza” del consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmi e lui, presidente e legale rappresentante dell’ente creditizio, è stato autorizzato a stipulare l’atto di costituzione della S.p.A.
Dopo 156 anni, la storia della Cassa cambia radicalmente. A questo punto la Cassa di Risparmi di Livorno, in applicazione della legge Amato, conferisce la propria azienda bancaria alla società per azioni denominata Cassa di Risparmi di Livorno S.p.A. e converte il proprio patrimonio nella partecipazione azionaria a questa società. La Cassa di Risparmi di Livorno S.p.A. avrà sede legale in piazza Grande 21 e si occuperà di raccolta del risparmio e esercizio del credito nelle sue varie forme. Continuerà ad esercitare le attività della Cassa, compreso il credito su pegno e potrà compiere tutte le
operazioni e i servizi bancari e finanziari. Contestualmente, la Cassa di Risparmi di Livorno diviene Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno con sede in via Borra 29 e fini di interesse pubblico e di utilità sociale nei settori della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte e della sanità, mantenendo le finalità di assistenza, di beneficenza e di tutela delle categorie sociali più deboli.
Il fondo di dotazione iniziale della Fondazione è di 95 miliardi e 700 milioni. Il capitale sociale è di 82 miliardi e 800 milioni di lire. La riserva disponibile, costituita da titoli di Stato, è invece di circa un miliardo di lire e viene trattenuta per sostenere almeno le iniziali spese di funzionamento della Fondazione.
Da questo momento il presidente, il vicepresidente, i componenti il consiglio di amministrazione e i membri elettivi del comitato di gestione della Cassa di Risparmi di Livorno in carica il 14 maggio 1992 compongono il Consiglio di Amministrazione della Fondazione, fino alla scadenza dei rispettivi mandati. I sindaci revisori della Cassa in carica vanno a comporre il collegio sindacale della Fondazione. Ai fini civilistici la società diviene operativa il 30 maggio 1992; gli effetti contabili, fiscali e di bilancio, come consentito dalla legge, vengono retrodatati al 1° gennaio 1992.
LA HOLDING REGIONALE “CASSE TOSCANE S.P.A.”
Il grande passo è compiuto. Il primo importante atto del Consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio S.p.A. è l’approvazione della nascita di una società per azioni: una holding regionale, denominata Casse Toscane S.p.A., che si costituirà tra le Casse di Risparmio di Firenze, Lucca, San Miniato, Pisa, Pistoia e Pescia, Livorno e la Banca del Monte di Lucca.
A questa società, la Fondazione di Livorno conferisce il 51,63% delle azioni della Cassa di Risparmi S.p.A. in proprio possesso, per un valore di 42 miliardi, in cambio acquisisce azioni della “Casse Toscane S.p.A.” per un valore di 47 miliardi pari al 3,09% del capitale sociale di questa società. La Fondazione, comunque, continua mantenere il 48,36% delle sue vecchie azioni della Cassa di
Risparmio S.p.A. La trasformazione è radicale e inizia ora un processo di ristrutturazione aziendale per favorire la costituzione del gruppo creditizio a dimensione regionale. Uno dei primi temi affrontati è la questione della doppia carica.
Nei primi anni di vita, infatti, le fondazioni conferenti e le banche conferitarie erano state gestite da consigli di amministrazione composti dagli stessi membri, ed anche presidente e vicepresidente detenevano contemporaneamente le due cariche. Con due decreti ministeriali, nel 1993-1994, si cerca di risolvere la questione dell’incompatibilità della doppia carica. Anche la Fondazione livornese affronta l’argomento e ciascun consigliere è chiamato a scegliere tra la permanenza nel gruppo creditizio o nella fondazione. Vengono così eletti i nuovi organi statutari.
LA DIRETTIVA DINI REGOLA LA DESTINAZIONE DELLE RISORSE
Passati quattro anni dall’entrata in vigore della Legge Amato, gli enti si erano rinnovati. Tra l’altro, le fondazioni, chiamate a ridurre la loro partecipazione nelle aziende creditizie, avevano incamerato molta liquidità incrementando notevolmente le loro disponibilità finanziarie. Questo fatto aveva rinnovato l’interesse dei legislatori. E fu così che il Ministro del Tesoro Dini, il 18 novembre 1994, emanò una direttiva: le fondazioni venivano “invitate” a cedere sul mercato entro 5 anni il controllo delle S.p.A. in cambio di forti agevolazioni fiscali e venivano obbligate ad adottare un regolamento entro il 31 marzo 1995. In esso dovevano indicare i criteri per l’assegnazione dei fondi da erogare ai singoli settori di intervento nell’ambito di quelli previsti dallo Statuto e i criteri per la scelta, all’interno dei settori, dei singoli progetti da finanziare, selezionati sulla base di un’analisi “costi-benefici”. Con questi regolamenti il Ministro volle ridurre il rischio che si sprecassero le risorse in finanziamenti a pioggia, poco coerenti o, peggio ancora, clientelari.
Il riflesso immediato della direttiva Dini fu quello di riaprire il dibattito sulla riforma. Al momento dell’entrata in vigore della Legge Amato esistevano 82 soggetti tra Casse di Risparmio e Banche del Monte. Allo scadere del termine previsto dalla direttiva, 31 marzo 1995 (poi prorogato al 30
giugno), le banche erano ancora 76. Questi numeri non soddisfacevano i legislatori, tanto che lo stesso
Amato recitò pubblicamente il mea culpa: la sua legge aveva caldeggiato una rivoluzione a metà. Era stata efficace nel favorire la trasformazione in S.p.A. ma non aveva garantito – così come era nelle sue intenzioni – la concentrazione del sistema e il collocamento sul mercato con la conseguente apertura del capitale ai privati.
Il sistema creditizio continuava a restare immobile, la “foresta pietrificata” – si diceva – è ora costituita dalle Fondazioni, un proprietario del tutto “anomalo” privo di poteri di gestione e di indirizzo strategico sulla banca cui fa capo. Neppure la direttiva Dini riuscì a completare la rivoluzione invocata. Tanto che contro di essa venne inoltrato un ricorso al TAR da parte di una trentina di fondazioni – tra cui quella livornese – che l’avevano accolta come un atto di violazione della loro autonomia.
MODIFICHE DELLO STATUTO E SCELTA DEI SETTORI DI ATTIVITÀ
Il 28 giugno 1995 La Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno effettua le modifiche statutarie richieste dalla direttiva e individua i settori verso i quali indirizzare l’attività:
A. istruzione superiore, formazione professionale e sviluppo della ricerca scientifica applicata;
B. assistenza, beneficenza e tutela delle categorie più deboli;
C. arte, cultura e sanità.
In particolare, per il periodo 1995-1996, decide di destinare le risorse in misura di almeno il 40% dei contributi al settore A, non oltre il 20% al settore B e non oltre il 30% al settore C.
Intanto la vita del Gruppo Casse Toscane attraversa un periodo di conflittualità interne che si conclude
nel 1995 con una scissione in due compagini, facenti capo ciascuna ad una capogruppo finanziaria.
Le Fondazioni delle Casse di Risparmio di Livorno, Pisa, Lucca e della Banca del Monte di Lucca confluiscono nella neonata holding Casse del Tirreno S.p.A. (più tardi la Banca del Monte di Lucca ne uscirà). La Fondazione livornese partecipa in percentuale pari al 9,35% del capitale del nuovo gruppo bancario, mantenendo il possesso del 42,36% della Cassa di Risparmi di Livorno S.p.A.
Dopo qualche mese, nel luglio del 1996, la Fondazione cambia sede e si trasferisce da via Borra 29 a piazza Grande 21.
ARRIVA LA LEGGE CIAMPI, DISTACCO DEFINITIVO TRA BANCHE E FONDAZIONI
Con la direttiva Dini le fondazioni avevano adeguato i loro statuti, ma restavano alcune incertezze normative e operative che non consentivano di svolgere pienamente il ruolo istituzionale. E soprattutto, a livello governativo, si riteneva che la ristrutturazione del sistema creditizio italiano iniziata con la Legge Amato non fosse ancora completata.
Dopo un lungo e complesso iter parlamentare iniziato nel febbraio del 1997 e rallentato dalla presentazione di numerosi emendamenti, nel dicembre 1998 veniva varata la Legge Ciampi (461) che imponeva un definitivo distacco tra società bancarie e fondazioni.
Quest’ultime dovevano cedere il controllo delle loro banche e diventare enti leader del no-profit, contribuendo allo sviluppo del sistema sociale del territorio di riferimento. Pochi mesi dopo, il 17 maggio 1999, veniva emanato il Decreto Legislativo n. 153, che imponeva un ulteriore adeguamento statutario alle fondazioni di origine bancaria: da enti pubblici dovevano trasformarsi in enti con personalità giuridica privata, senza fini di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale.
Il decreto attribuisce alle fondazioni la funzione di decidere, secondo le forme previste dagli statuti, le modalità e i criteri dell’attività istituzionale. In particolare dovranno individuare e selezionare i progetti e le iniziative da finanziare, assicurare la trasparenza, motivare le scelte. Contemporaneamente dovranno utilizzare le risorse nel migliore dei modi e tutelare gli interessi con interventi efficaci.
SBARCA IL GRUPPO LODI
Con la legge Ciampi, dunque, si obbligano le fondazioni a cedere il controllo delle partecipazioni detenute nelle società bancarie, ed a farlo tempestivamente se si vuole beneficiare degli incentivi
fiscali previsti.
La Fondazione della Cassa di Risparmi di Livorno, insieme a quelle delle Casse di Pisa e di Lucca, valuta le alternative possibili. Alla fine, viene scelta la proposta, ritenuta più interessante sotto tutti gli aspetti, presentata dalla Banca Popolare di Lodi. Il 4 dicembre 1999 viene firmato il contratto: le tre fondazioni di Livorno, Pisa e Lucca vendono all’acquirente Banca Popolare di Lodi il pacchetto di controllo (50,01%) della holding Casse del Tirreno. Con questa operazione, eseguita il 16 giugno 2000, le fondazioni incamerano subito 1.300 miliardi: oltre 129 vengono incassati dalla Fondazione di Livorno, controvalore pari al 4,85% del capitale ceduto nella holding Casse del Tirreno, di cui continua a mantenere il 4,50%. Ciascuna fondazione, inoltre, resta proprietaria di un pacchetto di azioni della propria Cassa conferitaria.
Il piano di sviluppo della Banca Popolare di Lodi, ispirato dalla legge che obbligava le fondazioni a cedere il controllo sulle banche, porterà la Bipielle a salire, nel giro di un anno e mezzo, dal 24° al 9° posto nella classifica del credito.
L’ATTO DI INDIRIZZO
Il 5 agosto 1999, con l’emanazione, da parte del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della
Programmazione econvomica, dell’Atto di Indirizzo per l’adeguamento degli statuti (alle disposizioni del D. Lgs. n. 153/99) si completava la riforma che disciplinava le fondazioni bancarie italiane.
Secondo la nuova normativa, le fondazioni sono obbligate ad operare attraverso tre organi: organo di indirizzo, organo di amministrazione ed organo di controllo.
Al Comitato di Indirizzo competono la determinazione dei programmi, delle priorità e degli obiettivi della fondazione e la verifica dei risultati. Il Comitato di indirizzo ha poi il compito di definire le finalità generali e gli indirizzi strategici sullo svolgimento dell’attività istituzionale, individuando in particolare i settori, le strategie, le modalità di intervento. Oltre alla nomina degli amministratori, dei sindaci, l’approvazione delle modifiche statutarie, l’approvazione dei bilanci di esercizio e dei documenti programmatici previsionali.
Il Consiglio di Amministrazione è invece deputato alla gestione ordinaria e straordinaria della fondazione, provvedendo ad adempiere ai compiti di proposta e impulso dell’attività, nell’ambito dei programmi, priorità e obiettivi stabiliti dal Comitato di Indirizzo. L’organo di controllo verifica la legittimità degli atti amministrativi della fondazione, vigila sull’osservanza delle leggi e dello statuto, verifica la corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri contabili e delle scritture. C’è da aggiungere, infine, che, secondo la storia delle rispettive Casse, alcune fondazioni hanno origine
istituzionale (se le Casse originarie erano nate con il contributo di enti e di organizzazioni della società
civile), altre hanno invece origine associativa (se le Casse originarie erano sorte come società anonima
e con conferimenti patrimoniali di privati cittadini).
Oggi la differenza fra le due consiste esclusivamente nel fatto che le associative – come Fondazione Livorno- conservano tuttora l’Assemblea dei Soci quale assise degli originari fondatori. Per entrambe gli organi di governo sono: l’organo di indirizzo, organo di amministrazione e organo di Controllo.
AGGIORNATO LO STATUTO, NASCE IL COMITATO D’INDIRIZZO
Nel rispetto delle nuove disposizioni di legge e seguendo le linee indicate dal Consiglio, il professor Giulio Ponzanelli riceve l’incarico di elaborare il nuovo Statuto della Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno che viene approvato con il decreto del Ministro del Tesoro del 6 ottobre 2000.
Ispirandosi alle sue originarie finalità, la Fondazione ribadisce di perseguire scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, e di svolgere prevalentemente la propria attività nel territorio della provincia, mirando a valorizzarne la naturale vocazione marittima e mediterranea.
Per quanto riguarda le risorse, si cerca di utilizzarle al meglio, rendendo più efficaci possibile gli interventi, nel rispetto dei principi di economicità, trasparenza, competenza e professionalità. Ma al tempo stesso puntando ad una gestione del patrimonio “operata secondo criteri prudenziali di rischio” e mirando ad una soddisfacente redditività ottenuta mediante la diversificazione degli investimenti.
La novità sostanziale, nello Statuto, è la comparsa di questo organo nuovo: il Comitato d’indirizzo, composto, per metà da rappresentanti nominati dall’assemblea e per l’altra metà da rappresentanti nominati dagli enti locali e realtà istituzionali e associative territoriali. Il comitato si insedia il 16 marzo 2001 e nello stesso giorno provvede alla nomina del presidente, del vicepresidente, del Consiglio di amministrazione della Fondazione, attivando, infine, la procedura di nomina del nuovo organo di controllo.
Nel mese di maggio vengono istituite cinque commissioni permanenti composte da membri del comitato d’indirizzo: una per la definizione delle linee generali della gestione patrimoniale e delle politiche degli investimenti, le altre quattro per ogni settore d’intervento dell’attività istituzionale:
A. istruzione e ricerca scientifica;
B. beneficenza e assistenza alle categorie sociali deboli;
C. arte e conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali;
D. sanità.
LA LEGGE TREMONTI
Tra il 2000 e il 2002 una pioggia di provvedimenti normativi e amministrativi – ben 11 – si abbatte sulle fondazioni. Senza contare i pronunciamenti, anche giudiziari, sulle questioni più controverse della riforma!
Ma soprattutto c’è una lunga attesa: la fase transitoria, che le Fondazioni bancarie gestiscono per tutto il 2002, in vista dell’emanazione dei regolamenti attuativi della riforma Tremonti introdotta con l’art. 11 della finanziaria. Nella sua terza versione, entrata in vigore il 16 ottobre, il regolamento sottolinea alcune direttive chiave: la prevalenza della rappresentanza degli Enti Locali rispetto a quella della società civile negli organi di indirizzo delle fondazioni a base istituzionale (mentre per quelle associate – come la Fondazione livornese – rimane:
• il potere alle assemblee dei soci di designare fino al 50% dei componenti l’organo d’indirizzo);
• l’obbligo di scegliere tre “settori rilevanti” verso i quali indirizzare la propria attività, per almeno tre anni, all’interno di quattro categorie di “settori ammessi” stabilite dalla legge;
• la possibilità di investire in attività legate allo sviluppo del territorio;
• l’obbligo, entro il 15 giugno 2003, di trasferire le partecipazioni di controllo detenute dalle fondazioni nelle società bancarie conferitarie.
In alternativa alle dismissioni, possono affidare la partecipazione da loro detenuta ad apposite società di gestione del risparmio (Sgr) perfezionando l’operazione entro marzo 2003. Fino all’insediamento dei nuovi organi, la Fondazione deve limitare la propria attività all’ordinaria amministrazione. Infine, la Legge Tremonti impone di adeguare lo Statuto entro 90 giorni dall’entrata in vigore del regolamento (quindi entro il 14 gennaio 2003) e, necessariamente, di provvedere alla nomina di nuovi organi statutari una volta completato l’iter delle designazioni.
UN RODAGGIO DURATO DIECI ANNI
In effetti i primi dieci anni di vita delle Fondazioni non sono stati facili. Dal 1990 i legislatori si sono affannati ad aggiustare la normativa intervenendo con vincoli spesso contraddittori, ma comunque tesi ad esercitare un controllo spesso stringente. Tra l’altro, l’esplosione di provvedimenti ha procurato momenti di estrema incertezza che hanno rischiato di paralizzare l’attività
istituzionale.
Ciononostante, la Fondazione livornese rafforza la vocazione originaria di ente promotore dello sviluppo culturale, sociale ed economico del proprio territorio di riferimento. Agli inizi degli anni Duemila, in presenza di un assetto normativo stabilizzato, il dibattito si incanala su altri orizzonti. Per esempio, ci si confronta sulla necessità di invertire una tendenza che porta spesso ad erogare finanziamenti “a pioggia” per accontentare un po’ tutti. E ci concentra, invece, sull’opportunità di concentrare le risorse su progetti mirati, possibilmente elaborati direttamente dalla Fondazione che vuole affermarsi con un ruolo attivo, da protagonista. È su questi temi che, leggi permettendo, la Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno, insieme alle altre Fondazioni di origine bancaria associate all’ACRI (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio S.p.A.), cerca di disegnare il proprio futuro.
LA CARTA DELLE FONDAZIONI
L’autonomia e la terzietà delle Fondazioni si rafforza ulteriormente con l’adozione della Carta delle Fondazioni, approvata dall’Assemblea dell’Acri il 4 aprile 2012. La sua adozione da parte delle Fondazioni associate è volontaria, ma vincolante; tutte le Fondazioni scelgono di aderirvi e di darne attuazione.
Con l’obiettivo di attualizzare la legge Ciampi, il 22 aprile 2015 viene sottoscritto un Protocollo di intesa tra Acri e Ministero dell’Economia e delle Finanze, un’auto-riforma delle Fondazioni di origine bancaria che prevede importanti scelte nel campo della governance, dell’accountability, dell’attività istituzionale e della gestione del patrimonio, con specifico riferimento alla concentrazione degli investimenti, all’indebitamento, all’uso dei derivati ed alla trasparenza.
Al Protocollo aderiscono 85 delle 86 Fondazioni associate all’Acri. Avranno 12 mesi di tempo per modificare gli statuti e varare i piani di diversificazione del patrimonio, 3 anni per cedere le quote in eccesso nelle banche quotate e 5 anni per le non quotate.
2012, VENTI ANNI, SI CHIUDE UN CAPITOLO
Nel 2011 la Fondazione Cassa di Risparmi, a conclusione di un percorso progressivo e graduale iniziato negli anni 2000, cede totalmente la propria partecipazione azionaria nella banca di origine, che nel frattempo è stata incorporata nel Gruppo Banco Popolare.
La separazione tra Fondazione e banca è ormai netta, non c’è più alcun bene in comune, né locali, né personale, né investimenti. L’attività filantropica ereditata dalla banca di origine viene proseguita e ampliata e anche il legame con il territorio viene ulteriormente rafforzato. Per svolgere questa attività, la Fondazione utilizza il reddito proveniente dal proprio patrimonio, opportunamente diversificato e investito secondo scelte libere da ogni condizionamento, dettate da valutazioni di carattere esclusivamente finanziario e ispirate a criteri prudenziali di rischio. Nel 2012 la Fondazione compie 20 anni e organizza diverse manifestazioni per ricordare l’attività svolta nella provincia a favore dello sviluppo culturale, sociale ed economico.
Complessivamente, nel ventennio sono stati erogati oltre 32 milioni di euro suddivisi tra i settori dell’arte, dell’educazione, del volontariato, della salute e della ricerca scientifica. Beneficiari di queste risorse sono stati tutti i soggetti ammessi dalla legge (associazioni/enti non profit, istituzioni, enti pubblici ecc.), operanti prevalentemente nella provincia, che condividono le finalità perseguite dalla Fondazione.
UNA NUOVA IMMAGINE
Tra il 2013 e il 2014 la Fondazione rinnova totalmente la sua sede, cambia nome e cambia logo. Il primo appuntamento è il 16 aprile 2013. Alle 10,45, con il taglio del nastro, viene inaugurato il nuovo ingresso della Fondazione, sotto i portici di Piazza Grande, nello storico edificio progettato nel 1949 da Luigi Vagnetti, proprietà della Fondazione. Ai livornesi vengono aperti i locali freschi di restyling: tre piani dell’intero palazzo ospitano la Fondazione, mentre il piano terra e il “mezzanino” restano in locazione alla banca. Non più un’entrata secondaria sul retro del palazzo, ma un nuovissimo ingresso moderno e decoroso come i locali restaurati del secondo, terzo e quarto piano dell’immobile.
L’ingresso introduce in un bell’ambiente rivestito di marmi di Carrara, dove una postazione fissa è occupata costantemente da un operatore centralinista a disposizione del pubblico per fornire eventuali
informazioni. L’adiacente sala d’attesa, provvista di guardaroba e armadietti di sicurezza, consente ai visitatori di depositare oggetti personali. Salendo su per le scale o in ascensore, si arriva al salone d’ingresso al primo piano, ornato con le statue donate dalle famiglie degli scultori livornesi.
Da qui si accede alla nuova Biblioteca intitolata a Paolo Castignoli, alle stanze del Presidente e del Vicepresidente, alla sala del Consiglio e al salone restaurato dell’Assemblea intitolato all’artista Leonetto Cappiello.
Salendo ancora al terzo piano ci sono gli uffici del personale e si aprono spazi espositivi appositamente allestiti per ospitare la sempre più ricca collezione d’arte della Fondazione, intitolata al suo donatore più generoso, Ettore Benvenuti, figlio dell’artista Benvenuto. All’artista divisionista è dedicata un’ampia sala che condivide con il suo maestro, Vittore Grubicy De Dragon.
Distribuita nelle varie sale e nei diversi piani della Fondazione, la collezione, definitivamente organizzata ed esposta al pubblico con visite guidate, costituisce uno specchio fedele delle complesse vicende delle arti figurative a Livorno nel secolo scorso ma anche, soprattutto nel suo settore divisionista, una significativa testimonianza di rilievo nazionale.
Oltre alla sede ed ai percorsi espositivi, la Fondazione rinnova anche la sua immagine visiva.
E FINALMENTE… FONDAZIONE LIVORNO
Il 29 aprile 2013, ottenuta l’approvazione da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno cambia formalmente denominazione, diventando “Fondazione Livorno”, persona giuridica di diritto privato, senza fini di lucro, dotata di piena autonomia
statutaria e gestionale.
Infine, dal primo gennaio 2014, diviene ufficiale il nuovo logotipo/marchio. Sobrio, lineare, riconoscibile, vuole sancire il nuovo corso dell’ente, ormai definitivamente separato dalla banca dalla quale ha tratto origine, e la volontà di sviluppare una propria, autonoma, capacità progettuale ma allo stesso tempo non dimentica, anzi ribadisce con orgoglio, le proprie radici storiche.
Ecco che nel logo permane l’operosa arnia delle api, oggi stilizzata, simbolo della Società dei Floridi, divenuta Accademia nel 1797. Quando, nel 1883, la Cassa di Risparmi di Livorno acquisì l’Accademia dei Floridi, ne assunse anche il logo. La scritta dello storico cartiglio Omnia Libant Floridi venne allora sostituita da Cassa di Risparmi di Livorno, per trasformarsi, ancora, in Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno nel 1992, con la nascita della Fondazione.
Il simbolo della comunità operosa e compatta, dell’accumulo e della redistribuzione delle risorse, ha attraversato i secoli, accompagnando tante vicende importanti della città e del suo territorio ed evocando la continuità di quei valori che avevano caratterizzato la nascita della Cassa e che continueranno ad ispirare le scelte di Fondazione Livorno. Così, nel nuovo logo, memoria e innovazione si incontrano e si integrano con semplicità e compiutezza.
PROTOCOLLO D’INTESA MEF-ACRI
Il 2015 è un altro anno particolarmente significativo e denso di eventi. Il 22 aprile viene firmato il Protocollo d’intesa Mef-Acri, tra il Ministro dell’Economia e delle Finanze Padoan e il Presidente dell’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio.
Tale accordo, frutto di un atto negoziale tra amministrazione pubblica e fondazioni, completa i principi introdotti dalla legge Ciampi e costituisce un codice di autoregolamento in grado di orientare il raggiungimento di standard operativi in termini di trasparenza, responsabilità e perseguimento degli interessi statutari. L’accordo si focalizza su aspetti economici e patrimoniali e sulla governance. In particolare, le fondazioni dovranno progressivamente abbandonare il loro ruolo di azionisti stabili delle banche e concentrarsi sulla promozione dello sviluppo economico del territorio e sulla propria attività
istituzionale.
Per mantenere nel tempo questa funzione e preservare il patrimonio, sono tenute ad osservare, nelle scelte di investimento, criteri prudenziali di rischio e una opportuna diversificazione, ottenendo dagli impieghi adeguata redditività. Fondazione Livorno, successivamente a tale accordo, modifica il proprio statuto per renderlo coerente con i nuovi principi. Il nuovo testo viene approvato definitivamente dal Comitato di Indirizzo nella seduta del 12 ottobre e dal MEF l’11 novembre. Sempre nel 2015, sul fronte dell’attività istituzionale, si svolge a Livorno, dal 25 al 27 settembre, la prima edizione de Il Senso del Ridicolo, primo festival italiano sull’umorismo, sulla comicità e sulla satira. Promosso da Fondazione Livorno, con la collaborazione del Comune di Livorno e il patrocinio della Regione Toscana, il festival è diretto da Stefano Bartezzaghi e organizzato dalla società Stilema di Torino. Tre giorni di incontri, letture ed eventi nella città più caustica d’Italia, con filosofi, scrittori, psicanalisti, storici, antropologi e, soprattutto, comici. Il successo di pubblico è straordinario, quasi in tutti gli incontri si registra il tutto esaurito. La notevole e inaspettata affluenza di persone, che per alcuni appuntamenti costringe al trasferimento in spazi più grandi, determina la decisione della Fondazione di fare del Festival un appuntamento fisso, una proposta culturale da offrire alla città che partecipa all’evento con entusiasmo interesse e coinvolgimento.
NASCE FONDAZIONE LIVORNO – ARTE E CULTURA
Un’altra data importante per la Fondazione nel 2015 è il 30 novembre quando l’Ente costituisce Fondazione Livorno – Arte e Cultura, l’ente strumentale istituito per valorizzare le opere d’arte della propria collezione di proprietà di FL e per promuovere iniziative artistiche e culturali, prevalentemente sul territorio della provincia. Nel 2016 FLAC diviene operativa e costituisce un agile supporto organizzativo all’attuazione di questi obiettivi, soprattutto attraverso la realizzazione di mostre d’arte e del Festival sull’Umorismo Il Senso del Ridicolo.
Per quanto riguarda le mostre, la prima gestita da FLAC è quella, antologica, dedicata a Renato Spagnoli il 16 dicembre 2016, il 6 ottobre 2017 viene inaugurata la seconda, dedicata a Ferdinando Chevrier – Il movimento e la tensione, nei locali della sede di Fondazione Livorno. La terza mostra, l’antologica dedicata a Pierino Fornaciari (1918-2009). Dal neorealismo all’arte programmata, viene invece allestita alla Villa del Presidente. Alla fine del 2022 le mostre organizzate da Flac saranno in totale 16 e tante altre iniziative culturali saranno organizzate su tutto il territorio della provincia. Spetta a Flac, dal 23 al 25 settembre 2016 organizzare la seconda edizione del festival sull’Umorismo che registra un incremento di presenze pari circa al 30%.
AVVICENDAMENTO AI VERTICI
Il 2016 si caratterizza per l’avvicendarsi dei nuovi organi. Venerdì primo luglio 2016, nella sede di Fondazione Livorno, si insedia il nuovo Comitato di Indirizzo che nomina all’unanimità il dottor Riccardo Vitti neopresidente della Fondazione. Entrato come socio fondatore quando ancora l’ente si chiamava Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno, l’affermato commercialista livornese aveva assunto la carica di membro del Comitato di Indirizzo, ed era stato eletto vicepresidente di Fondazione Livorno nel febbraio 2015, La sua elezione assume pertanto un significato di continuità.
Contemporaneamente si cerca di razionalizzazione il settore arte e cultura, affidando la presidenza della strumentale Fondazione Livorno – Arte e Cultura, all’avv. Luciano Barsotti. In scadenza di mandato, il noto avvocato amministrativista livornese ha mantenuto la carica di presidente di Fondazione Livorno, ininterrottamente, dal maggio 2002 e già dal 1999 faceva parte del Consiglio di amministrazione. In questi 14 anni la Fondazione ha cambiato completamente fisionomia e Barsotti ne ha guidato la trasformazione completando il percorso di affrancamento dalla banca d’origine, caratterizzando sempre più l’Ente come soggetto autonomo e intensificando l’attività con progetti propri al servizio della collettività.
LA PRESSIONE DEI MERCATI FINANZIARI
Il processo di progressiva dismissione della conferitaria, che ha portato ottimi risultati, ha consentito anche una diversificazione degli investimenti sui mercati finanziari, permettendo di riallocare le somme su diversi asset. Le gravi crisi economico-finanziarie che hanno caratterizzato l’ultimo decennio, con inevitabili ripercussioni sugli investimenti presenti in portafoglio, hanno però generato impatti sui rendimenti della fondazione e, conseguentemente, sulle risorse a disposizione dell’attività erogativa.
Il rischio di non garantire continuità alla propria funzione istituzionale, di mantenere costante il livello delle erogazioni e, fondamentalmente, di preservare il patrimonio, è stato sempre presente. Così, la fondazione, sin dalle sue origini, si è sempre posta il duplice obiettivo di tramandare alle generazioni future il proprio patrimonio, preservandone il valore reale e, al tempo stesso, di stabilizzare il flusso erogativo negli anni, mantenendolo su livelli sostenibili. Per questo ogni anno vengono accantonate risorse alle Riserve patrimoniali e al Fondo stabilizzazione erogazioni.
Nel 2016 il risultato di esercizio è per la prima volta negativo. Nonostante tutto, le scelte attente e previdenti, insieme ad una oculata amministrazione delle risorse, consentono anche nel 2017 di mantenere alto il livello erogativo, grazie all’utilizzo di fondi precedentemente accantonati. Intanto la funzione istituzionale dell’Ente esce rafforzata dal più diretto rapporto instaurato con enti privati e pubblici della città e della provincia, dai progetti propri che hanno intensificato la presenza della fondazione sul territorio e dai progetti in rete che hanno permesso di lavorare su obiettivi più ambiziosi. Anche l’esercizio 2017 risulta negativo. L’esercizio 2018, invece, si chiude con un risultato positivo e pertanto, per l’anno 2019, le risorse da destinare all’attività erogativa saranno garantite dall’avanzo.
Riprende anche il festival sull’Umorismo, dopo la lunga attesa determinata dall’annullamento dell’edizione 2017 a causa dell’alluvione che ha procurato gravi danni ma soprattutto gravi lutti alla città di Livorno. La Fondazione investe per promuovere l’offerta culturale del territorio, ma allo stesso tempo, guarda ai bisogni più urgenti, alle situazioni più disagiate, ai disabili, agli anziani, ai malati, agli ultimi, per aiutare le associazioni di volontariato a garantire standard di vita più accettabili a chi ha maggiormente bisogno di aiuto. Così come i soci fondatori dell’antica Cassa di Risparmi di Livorno si dettero come obiettivo nel lontano 1836. Nel 2019 la gestione finanziaria continua a rappresentare la questione fondamentale, sulla quale si concentra l’attenzione degli organi della Fondazione. Si decide pertanto di prendere una decisione scomoda e coraggiosa, quella di ridurre il flusso erogativo da 3,5 a 2,2 milioni per l’anno successivo. Rafforzare la solidità patrimoniale della Fondazione e raggiungere un giusto equilibrio tra entrate e uscite, per preservare il patrimonio dell’Ente e non erodere il suo capitale, rendendo la Fondazione più stabile e in grado di affrontare le sfide che le riserva il futuro incerto. La gestione finanziaria viene affidata a soggetti terzi specializzati, nel rispetto degli indirizzi contenuti nel Protocollo d’intesa Acri-Mef, con l’obiettivo di raggiungere il miglior equilibrio possibile tra risultati ottenibili dall’investimento delle risorse e l’esigenza di preservare il valore reale del patrimonio. Infine, viene rivisto l’inquadramento dei dipendenti della Fondazione, con l’adozione, dal primo gennaio 2019, di un Contratto Collettivo Nazionale.
EMERGENZA COVID
Il 2020 si presenta fin dagli inizi come un anno molto impegnativo. L’improvviso diffondersi della pandemia coglie tutti di sorpresa e mette in evidenza una vulnerabilità di cui non esisteva cognizione. La storia dell’umanità è una storia di epidemie e pandemie, ma nessuno poteva immaginare come il Covid-19, potesse condizionare la salute e la vita di ogni persona, trasformando il mondo in un gigantesco problema globale in cui le distanze non funzionano da barriere. Il Paese ed anche le Fondazioni sono chiamati ad affrontare l’incognita più complessa, estesa e drammatica della storia della Repubblica. Alla pandemia provocata dal Covid-19, Fondazione Livorno risponde con immediatezza e slancio, dirottando le risorse di cui può disporre verso le strutture sanitarie e verso il volontariato impegnati nell’emergenza coronavirus.
Anche le scadenze istituzionali subiscono ritardi e per regolarizzare la situazione viene emanato il Decretolegge n.18 del 17/03/2020 che dà la possibilità di approvare il bilancio annuale entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio. La Fondazione decide di avvalersi di tale opportunità, prorogando a fine giugno 2020 l’approvazione del bilancio e conseguentemente la scadenza del Comitato di Indirizzo. A fine maggio viene convocata l’Assemblea dei Soci che indica i sei componenti designati dalla Fondazione. Nel mese di luglio, si conclude la procedura con la nomina del nuovo presidente, Luciano Barsotti, e vicepresidente Cinzia Pagni. Olimpia Vaccari sarà presidente di Fondazione Livorno – Arte e Cultura.
IL RITORNO ALLA QUOTIDIANITÀ
Nel 2021 l’attività riprende il suo corso e vengono realizzati molti progetti che, per le restrizioni imposte dalla necessità di ridurre la diffusione della pandemia, erano stati momentaneamente sospesi. Un occhio di riguardo viene rivolto alle associazioni culturali e all’attività didattica, fortemente penalizzate dalle restrizioni imposte dal Covid-19. Finanziariamente, per il triennio 2021- 2023 viene confermato l’obiettivo di mantenere la capacità erogativa a 2 milioni di euro annui. Cifra che potrebbe essere incrementata grazie al riconoscimento di alcuni crediti di imposta.
C’è da dire, comunque, che dal 1992 ad oggi il patrimonio dell’Ente è passato da 50 milioni di euro (valore del conferimento) a oltre 200 milioni di euro. Tenendo conto che, per la sola rivalutazione dell’inflazione, il patrimonio teorico ammonterebbe a circa 94 milioni di euro, si può concludere che è stato creato valore.
LE FONDAZIONI DI ORIGINE BANCARIA OGGI
Oggi le fondazioni sono enti privati senza fini di lucro, autonomi e indipendenti, che, attraverso l’investimento dei patrimoni di cui dispongono, generano proventi che vengono messi a disposizione delle comunità e del Paese esclusivamente per scopi di utilità sociale e per la promozione dello sviluppo economico.
Le fondazioni di origine bancaria oggi, differenti per dimensione patrimoniale e operatività territoriale, sono presenti in tutta la Penisola, prevalentemente al Nord e al Centro del Paese. Dalla loro nascita, le risorse a fondo perduto messe a disposizione dalle 86 fondazioni ammontano a 26 miliardi di euro. Ogni anno, queste risorse hanno favorito l’attivazione di circa 20mila iniziative, con un’erogazione media per singolo progetto che ammonta a circa 50mila euro. A queste risorse, vanno aggiunte quelle che le fondazioni, grazie alla loro autorevolezza e credibilità, sono capaci di mobilitare da parte di altri attori pubblici e privati, generando un effetto moltiplicativo che aumenta la portata economica degli interventi. I beneficiari di queste risorse sono i cittadini, tramite le organizzazioni di Terzo settore, gli Enti locali, le istituzioni scolastiche, le università, i centri di ricerca. In particolare, si stima che alle organizzazioni del Terzo settore, in forma diretta o tramite Enti locali, vada circa il 70% di queste risorse.
Il valore delle fondazioni non si esaurisce nella quantità di risorse messe a disposizione, interessa, soprattutto, la modalità in cui esse vengono investite: le fondazioni, grazie alla loro natura privatistica e alla prossimità con i territori, sono capaci di cogliere i bisogni delle comunità e di intervenire con estrema rapidità ed efficienza, sperimentando e innovando gli interventi e sempre adattandoli al mutare dei contesti. Un esempio su tutti è stata la rapidità con cui le Fondazioni sono intervenute nella crisi generata dalla pandemia da Covid-19: in pochi mesi hanno messo a disposizione oltre 130 milioni di euro, tra risorse proprie e raccolte fondi attivate sui territori, partecipando alla precaria tenuta del Paese, in un momento di grande difficoltà. Grazie alla loro azione, le fondazioni rappresentano dunque un cardine fondamentale per l’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale sancito dall’articolo 118 della nostra Costituzione. Senza la presenza delle fondazioni, quel principio troverebbe meno applicazione. Le fondazioni perseguono la missione a loro affidata dal Legislatore attraverso due strumenti complementari: l’investimento del patrimonio e l’attività erogativa. Negli anni esse hanno sviluppato una modalità di intervento in grado di utilizzare in maniera sinergica i due strumenti, facendo in modo che l’uno riesca a potenziare gli effetti dell’altro.
L’INVESTIMENTO DEL PATRIMONIO
Oggi le fondazioni detengono un patrimonio che ammonta complessivamente a circa 40 miliardi di euro, che è investito in maniera diversificata. Le fondazioni sono il principale investitore istituzionale per quota di patrimonio investito nell’economia reale del Paese, con una percentuale pari al 44,4 del totale investito. Nella gestione dei loro patrimoni, le fondazioni pongono sempre maggiore attenzione alle tipologie d’investimento, privilegiando quelle operazioni che rispettano criteri ambientali, sociali e di governance (ESG), oltre che ai cosiddetti Mission Related Investment e alla nuova frontiera 3 dell’Impact Investing. Inoltre, le fondazioni, pur avendo ridotto la partecipazione nelle banche conferitarie, in fasi di grande criticità, hanno comunque garantito stabilità e supporto all’azionariato di alcuni Gruppi, fondamentali per il supporto del credito nel nostro Paese.
L’ATTIVITÀ EROGATIVA
Le fondazioni di origine bancaria intervengono sui territori promuovendo il cosiddetto “welfare di comunità”, ovvero accompagnando tutti quei soggetti – organizzazioni del Terzo settore, istituzioni, imprese e singoli cittadini – che si attivano per prendersi cura del benessere della comunità, realizzando il principio di sussidiarietà orizzontale. Insieme alle comunità, le fondazioni si prendono cura delle fragilità, favorendo l’integrazione lavorativa dei disabili e la loro autonomia, l’assistenza agli anziani non autosufficienti (privilegiando il sostegno alle famiglie e le cure domiciliari), la tutela dell’infanzia, il recupero delle fasce sociali più esposte a forme di emarginazione e abuso, il contrasto alle dipendenze.
Con quest’ottica comunitaria, favoriscono la nascita delle fondazioni di comunità: istituzioni mutuate dal mondo anglosassone che nascono per rispondere a bisogni comunitari con risorse provenienti in parte da una fondazione promotrice e, in parte, da donazioni raccolte direttamente da cittadini, imprese e istituzioni. Ciascuna fondazione di origine bancaria interviene sul proprio territorio, generalmente la provincia o la regione in cui ha sede. I principali settori di intervento sono: Arte, Attività e Beni culturali; Volontariato, Filantropia e Beneficenza; Ricerca e Sviluppo; Assistenza sociale; Sviluppo locale; Educazione, Istruzione e Formazione; Salute pubblica. Ci sono però anche molte iniziative di portata nazionale o internazionale, realizzate con il coordinamento di Acri, l’associazione che le rappresenta collettivamente. Si veda, ad esempio, il Fondo per la Repubblica Digitale, ma anche il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, il più grande intervento attivo in Italia per rispondere al
fenomeno della povertà minorile. Nato su iniziativa delle fondazioni, e realizzato in partenariato con Governo e Terzo settore, ha permesso finora l’avvio di più di 400 progetti in tutta Italia, che hanno raggiunto 500mila bambini e ragazzi.
Fondazione Con il Sud, nata nel 2006 dall’alleanza tra le fondazioni di origine bancaria e il mondo del Terzo settore, promuovere l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno, ovvero percorsi di coesione sociale e buone pratiche di rete per favorire lo sviluppo del Sud. L’Housing sociale è un fronte su cui le fondazioni nel nostro Paese sono state pioniere, sperimentando una formula per offrire alloggi in locazione a canoni ridotti alle categorie sociali che non rientrano nei parametri per l’assegnazione di case popolari, ma che non hanno la capacità economica di accedere a un’abitazione a prezzi di mercato. Dall’iniziativa delle fondazioni è nato il Fondo Investimenti per l’Abitare che, con il coinvolgimento di CDP, sta realizzando oltre 20mila tra abitazioni e posti letto in residenze studentesche.
CULTURA
Per le fondazioni l’investimento in campo culturale rappresenta uno dei fattori strategici per lo sviluppo dei territori, considerando il patrimonio culturale un volano di crescita in grado di generare turismo e nuova occupazione e ritenendo che l’accesso ai beni e alle produzioni culturali debba estendersi al maggior numero di persone, al fine di accrescere il capitale umano della comunità. Progetti di sistema sono: Funder35, che seleziona e accompagna imprese culturali giovanili non profit affinché si consolidino dal punto di vista gestionale e organizzativo; R’accolte, un catalogo online che presenta l’immenso patrimonio di opere d’arte di proprietà delle fondazioni (oltre 13mila tra quadri, sculture e ceramiche); Per Aspera ad Astra, che diffonde su scala nazionale l’esperienza di teatro in carcere realizzata a Volterra dalla Compagnia della Fortezza.
INNOVAZIONE E RICERCA
Le fondazioni sostengono la crescita del cosiddetto ecosistema dell’innovazione, favorendo il trasferimento tecnologico università-imprese e creando poli di open innovation, per far germogliare startup innovative. Progetti di sistema sono: Ager, che sostiene lo sviluppo della ricerca nel campo dell’agroalimentare, promuovendo studi per coniugare rese elevate e sostenibilità ambientale delle filiere agricole, così da consolidare la leadership dei prodotti agroalimentari italiani; Young Investigator Training Program, che punta a coinvolgere giovani 4 scienziati operanti all’estero, italiani e stranieri, nella partecipazione a congressi di rilevanza internazionale organizzati in Italia, e ad esperienze di lavoro temporaneo presso enti di ricerca italiani.
AMBIENTE
In questo campo le fondazioni sostengono l’efficientamento energetico degli edifici pubblici, favoriscono la realizzazione di percorsi ciclabili, promuovono l’educazione ambientale nelle scuole e la realizzazione di parchi e aree protette. Progetti di sistema sono: Vento, un percorso ciclopedonale da Torino a Venezia, lungo le sponde del Po, che punta a creare nuova occupazione generando un indotto turistico di richiamo internazionale; Green Jobs, che promuove le competenze imprenditoriali della green economy nelle scuole secondarie di secondo grado.
MIGRAZIONI
Su questo fronte, le Fondazioni, da un lato sostengono le organizzazioni che accolgono e assistono i migranti giunti nel nostro Paese, favorendone l’integrazione, dall’altro si sono attivate per contribuire, insieme ai migranti, a creare le condizioni per ridurre le cause delle partenze dai loro Paesi. Progetti di sistema sono: Fondazioni For Africa Burkina Faso, che ha garantito l’accesso al cibo a oltre 60mila persone, puntando sulla riorganizzazione delle filiere agricole, la microfinanza e il coinvolgimento delle donne e dei migranti Burkinabé in Italia; Never Alone, per l’accoglienza e l’accompagnamento dei minori stranieri non accompagnati che vivono nel nostro Paese; Progetto Migranti, per sostenere le attività di soccorso in mare, i corridoi umanitari, l’assistenza a migranti giunti da poco o in fase di passaggio.