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Pietro Annigoni, pittore di magnifico intelletto – A painter and his kingdom

Il percorso antologico allestito a Villa Mimbelli sarà visitabile fino a marzo 2024

invito inaugurazione ANNIGONI villa mimbelli

Livorno, 14 dicembre 2023 –  La più ampia mostra antologica dedicata a Pietro Annigoni negli ultimi vent’anni, sulla scia della grande iniziativa monografica realizzata a Palazzo Strozzi a Firenze nel 2000 per celebrare l’artista dopo la scomparsa avvenuta nel 1988, si intitola Pietro Annigoni, pittore di magnifico intelletto, allestita negli spazi di Villa Mimbelli e curata da Emanuele Barletti. Promossa da Comune di Livorno e Fondazione Livorno, con il patrocinio di Regione Toscana, la collaborazione di Fondazione CR Firenze e il contributo e Castagneto Banca 1910, verrà inaugurata venerdì 15 dicembre alle 17 e resterà aperta fino al 15 marzo 2024.

Quando si accendono i riflettori sui grandi interpreti del mondo dell’arte emerge sempre qualcosa di nuovo. Approfondimenti e scoperte inattese contribuiscono ad arricchire profili già noti ma pur sempre complessi e articolati. Anche questo appuntamento di Livorno si rivela un’occasione per proporre ulteriori analisi e riflessioni. Nei decenni centrali del Novecento, infatti, Annigoni, frequentava volentieri la città labronica dei vecchi e nuovi quartieri inscindibilmente legati al mare. Apprezzava la sua gente dal temperamento schietto, ma anche la ricchezza del suo tessuto culturale animato da innumerevoli presenze artistiche e letterarie di alto spessore intellettuale. Soprattutto, però, era attratto e amava quelle distese marine che si aprivano oltre il Porto Mediceo con le loro promesse di infinito e di libertà, da respirare a pieni polmoni a bordo della sua imbarcazione, la Bimba, un vecchio peschereccio che guidava lui stesso come un provetto marinaio.

Accanto a questa passione per il mare vissuta privatamente, nella mostra livornese emerge anche una dimensione pubblica che ha reso popolare l’artista. Annigoni era il pittore dei ritratti e anche degli autoritratti, banchi di prova delle proprie capacità tecniche ed espressive in gioventù e specchi dell’anima durante tutta la sua carriera. Celeberrimo è il ritratto che lo fece conoscere in tutto il mondo: quello fatto alla Regina Elisabetta II. Così, nella città che ha ospitato la più antica comunità britannica in Italia, in virtù della sua posizione geografica e dell’importante ruolo esercitato dal suo porto nel Mediterraneo, a poco più di un anno dalla scomparsa della Regina, è apparso naturale organizzare all’interno della mostra, una sezione dedicata al ritratto realizzato nel 1954‑’55 da Annigoni all’allora giovane Sovrana agli esordi della sua missione, ritratto che è divenuto una vera e propria immagine iconica del Novecento.

 

ANNIGONI

Fin da giovanissimo Pietro Annigoni si esercitò nella pratica dell’autoritratto. Come per molti altri prima e dopo di lui, questo genere rappresentava, nella carriera di un artista figurativo, uno dei primi banchi di prova delle proprie capacità tecniche ed espressive, con un impegno che spesso proseguiva, come nel caso di Annigoni, fino all’estrema parabola del percorso esistenziale. In mostra troviamo così esposti i primi saggi realizzati da giovanissimo, a partire dal 1927, quando aveva appena 17 anni e già dimostrava una straordinaria maturità artistica disegnando in punta di lapis. Nel proseguo della carriera si cimenterà con tutte le tecniche che ebbe modo di sviluppare e consolidare negli anni, dall’incisione all’affresco, alla tempera grassa.

Se l’autoritratto, oltre che mezzo di esercitazione decisamente a ‘portata di mano’, è anche una sorta di specchio dell’anima, non sfuggirà come l’atteggiamento, sia in gioventù che in età più avanzata, sia sempre improntato ad un’immagine di sé severa e al contempo sfidante. Consapevole delle proprie capacità e del proprio mestiere, si pone dinanzi al mondo contemporaneo come ‘attore’ critico ma attento alla complessità di tutto ciò che lo circonda e alle contraddizioni del suo tempo.

 

FAMIGLIA

Insieme al genere dell’autoritratto era l’ambiente famigliare che ruotava attorno al pittore l’altro punto di riferimento privilegiato per Annigoni. Al di là degli affetti personali, i congiunti più stretti, infatti, costituivano modelli ideali di esercizio visivo e pratico in quanto, chiaramente, più direttamente disponibili. I genitori del Maestro, Ricciardo Annigoni e Teresa Botti, furono i primi ad essere oggetto delle attenzioni dell’artista che, in anni precoci, ne delineò immagini di grande perfezione formale e suggestione emotiva. La famiglia, originaria di Mirandola, si era stabilita a Milano dove sarebbero nati tutti i figli, Nino, lo stesso Pietro e Ricciardino, il più giovane. Del padre Ricciardo resta un notevole numero di ritratti, tra cui quello del 1928, uno dei disegni giovanili in punta di lapis di Annigoni di altissimo livello artistico e tra i più belli dell’intera produzione grafica, al quale si è voluto affiancare nella mostra una altrettanto straordinaria versione pittorica del 1933 dove il padre è illuminato in pieno da una fonte fuori campo su uno sfondo scuro in una atmosfera di chiara ispirazione fiamminga. La madre Teresa Botti, di origine statunitense, casalinga, è pure oggetto di eccellenti prove disegnative. Tra queste va segnalato, sempre nel 1928, un ritratto, anche questo stupendo, realizzato in punta di lapis.

Al fratello maggiore Nino, non si ha certezza che Pietro abbia dedicato almeno un ritratto, mentre del fratello minore Ricciardino, esistono vari schizzi e due dipinti compiuti, il primo colto in età giovanile, l’altro in un momento più maturo, intento a suonare la chitarra, strumento di cui era appassionato. Purtroppo, un destino amaro si accanì sul più piccolo della famiglia che scomparve prematuramente nel 1945 al suo rientro in Italia, alla fine della guerra, per le privazioni e le sofferenze subite durante la prigionia in Germania come ufficiale dell’esercito italiano. Dopo i famigliari più stretti è la volta del suo primo amore, Anna Maggini, conosciuta a Firenze nel 1928 mentre lui frequentava l’Accademia di Belle Arti e lei studiava arpa presso il Conservatorio Luigi Cherubini. Anna fu al centro di un rapporto particolarmente intenso sul piano affettivo ma anche contraddittorio che terminerà con la separazione nel 1957 non prima di avere dato al Maestro due figli, Benedetto nel 1939 e Maria Ricciarda nel 1948. Di Anna esistono varie immagini in diverse tecniche, che documentano la sua particolare bellezza.

Il giovane Annigoni ne fu ispirato fatalmente e continuò a ritrarla anche in momenti più avanzati e maturi. Dal già citato ritratto del 1929 in punta di lapis alla stupenda guache dei primi anni Trenta, si passa ad una serie di tempere grasse, in parte incompiute, che di volta in volta fissano il volto di una donna affascinante, ma di cui Annigoni sembra evocare attraverso l’espressione degli occhi un malcelato tormento interiore ed una sensualità sospesa e distante. I ritratti dei figli Benedetto e Ricciarda, rispettivamente del 1958 e del 1970, fissano modelli di bellezza maschile e, soprattutto, femminile che faranno testo nei decenni centrali del Novecento. Attraverso la diffusione di stampe e riproduzioni, entreranno nelle case della gente comune insieme all’ammaliante splendore di Rossella Segreto, seconda moglie del Maestro, conosciuta nel 1966 a bordo del transatlantico “Raffaello” sulla rotta verso New York e sposata nel 1975.

 

ANNIGONI E IL MARE

Pietro Annigoni ebbe con il mare un rapporto molto stretto, mutuato dalle sue relazioni con Livorno e la sua gente. In particolare, gli piaceva pescare e ancor più navigare. A questo riguardo aveva comprato un vecchio peschereccio, “La Bimba”, con il quale, appena riusciva a ritagliarsi del tempo libero dai suoi numerosi impegni artistici, amava muoversi lungo la costa toscana fino alla Liguria. La mostra, a questo proposito, propone interessanti spunti autobiografici sia diretti che mediati da altri artisti. Ritroviamo così la “Bimba” in navigazione verso Portovenere durante l’estate del 1959, oppure piccole tavolette dipinte di prima intenzione che documentano il litorale versiliese, dalle parti di Tonfano, e che il Maestro amava frequentare specie negli ultimi anni di vita. Annigoni, nella sua accezione più ampia, amava il mare preferibilmente in burrasca, perché ciò evidentemente gli consentiva di esprimere al meglio le sue visioni atmosferiche e cromatiche spesso portate al limite di una natura matrigna ed ostile, come, ad esempio, nella Partenza del 1935, una tela di chiara ispirazione seicentista, dove un gruppo di imbarcazioni a vele spiegate affronta un mare decisamente agitato. Nella Mareggiata del 1971, invece, è delineato il dramma di un naufragio notturno enfatizzato da una fonte luminosa probabilmente alimentata dalla torcia di un soccorritore, secondo una modalità suggerita da talune rappresentazioni fiamminghe.

Non poteva mancare, nel suo repertorio di acque turbolente, un altro riferimento storico ai luoghi prediletti delle sue escursioni livornesi, la Torre di Calafuria, testimonianza visiva di antiche sfide tra gli uomini e con gli elementi della natura. Infine, L’isola misteriosa, pertinente alla prima maturità artistica di Annigoni, riflette invece precise citazioni iconografiche, in particolare, l’Isola dei morti di Arnold Böcklin del 1880‑’86 c.

 

I MANICHINI

Nella moderna accezione del termine, l’autrice di questa sezione, Anita Valentini, ricorda come il genere era scaturito attorno al 1914 dal rapporto tra la pittura di de Chirico e la visione lirica di Guillaume Apollinaire (1980 – 1918), scrittore e poeta francese, secondo un’immagine d’uomo senza volto che rifluisce nell’applicazione pittorica di quella che sarebbe stata chiamata “arte metafisica”. Perché, si domandava Annigoni, molti pittori, lui compreso, hanno avvertito l’esigenza di dipingere manichini? «Un manichino – scrive – può essere né più né meno uno oggetto stravagante e pittoresco, che, consumato dall’uso e dall’abbandono, divertente, malinconico e carico di ricordi, riesce a stuzzicare la nostra fantasia. Ma può essere qualcos’altro …». Del resto, lui, Annigoni, di manichini ne possedeva diversi nel proprio studio e con diverse attitudini tali da diventare, nel passaggio da strumenti utili a oggetti ingombranti lasciati in soffitte e cantine, “personaggi bizzarri ed emblematici”, per cui «… nudi, strappati, derelitti, con parvenza umana, attirano e avvincono lo sguardo dell’artista …». In loro si specchiano sentimenti di curiosità e divertimento ma anche di analisi profonda su vicende vissute e in fieri. E qui c’è il rischio di uno “sdoppiamento”, avverte l’Artista, che può essere pericolosamente invadente, perché il manichino tende a diventare un personaggio autonomo, dotato di una propria coscienza e capacità di giudizio, davanti al quale, silente e ironico, si tende a rimanere soli rispetto alle nostre domande inevase, «… inconsapevoli del fatto che la sua vita fittizia altro non è che il nostro riflesso fragile sullo schermo dell’ignoto …». La conclusione, nel pensiero di Annigoni, non è però del tutto negativa anche se lascia un po’ l’amaro in bocca. Infatti, scrive ancora ꞉ «Io preferisco non dimenticare che il manichino finisce sempre col far sorridere, anche quando è interprete di parti drammatiche o tragiche. Di conseguenza il dipingere manichini lo considero un modo di riconciliarmi con gli uomini, facendomeli un poco dimenticare, specialmente quando (e troppo spesso) offrono spettacolo della loro ottusa e bestiale follia». In definitiva l’occasionale richiamo ‘metafisico’ dechirichiano diventa in Annigoni una prospettiva più strettamente esistenzialista rispetto all’attualità e al destino del genere umano.

 

LO STUDIO

Annigoni, nel corso della sua lunga carriera artistica, ebbe vari studi dove esercitò la sua attività professionale. Ne ebbe uno anche a Londra, nella zona di Edwardes Square negli anni ’60 del Novecento, ma qui ci riferiamo essenzialmente a quelli fiorentini, i due che aprì in periodi cronologici consecutivi tra gli anni ’30 e ’40 in Piazza Santa Croce e poi il terzo, nei decenni successivi e fino alla morte, in Borgo Albizi vicino a Piazza S. Pier Maggiore.

Il fatto che il Maestro abbia più volte documentato, come la mostra evidenzia in una apposita sezione curata da Emanuele Barletti, il ‘luogo di lavoro’ è emblematico della centralità che tale spazio aveva nella vita di Annigoni che vi trascorreva gran parte della propria esistenza quotidiana e rappresentava, come è del resto abituale per un artista, una sorta di microcosmo del suo mondo spirituale, il luogo deputato dove, come diceva lui, «… le uniche novità che mi stanno a cuore e che mi spingono a fare, sono le mie gioie, i miei dolori, le mie emozioni e i miei entusiasmi nella vita come mi è stata concessa, in quel mondo che è il mio». Lo studio è anche, specie nella sua fase giovanile, ‘luogo teatrale’ dove sono presenti tutti gli elementi di cui ha bisogno꞉ le modelle, i manichini, la luce del lucernaio, occasionalmente anche gli amici, gli allievi, gli strumenti del mestiere. In questo luogo dello spazio e dello spirito Annigoni è l’assoluto padrone di se stesso in cui si misura con le esperienze e le difficoltà del lavoro ma anche con una intima gioia creativa che appartiene solo a lui.

 

DIMENSIONE DEL SACRO

Si è molto dibattuto sul rapporto effettivo che Annigoni ebbe con la dimensione sacrale, lui che realizzò interi cicli di affreschi in alcuni dei più importanti centri della fede cattolica in Italia. Flavia Russo, nel saggio in catalogo e attraverso la selezione della mostra, ne riassume in maniera efficace i termini attraverso le parole stesse del Maestro꞉ «Io sono come troppi oggi, un uomo senza il dono della Fede, ma sono un nostalgico di Dio […] Io credo che (anche se sono il figlio della rabbia anticlericale) la nostalgia di una Fede nel Divino certa e rivelata abbia radici profonde nel mio spirito e definisca un tratto essenziale, anche se contraddittorio, che non manca di riflettersi nelle mie azioni di uomo e di artista»

«La nostalgia di Dio – sottolinea Russo – è un sentimento che permea tutta la sua vita e che lo porta alla ricerca di occasioni e luoghi che possano avvicinarlo a questo dono mancante. Per Annigoni l’arte non è solo un mezzo espressivo ma anche conoscitivo. Dipingere temi sacri è dunque la possibilità di incontro con i protagonisti della rivelazione sentita così lontana. Inoltre, i grandi cicli di affreschi in ambienti ecclesiastici come l’Abbazia di Montecassino o la Basilica del Santo a Padova permettono di proiettare l’opera del maestro verso un pubblico più vasto ed uscire dalle stanze domestiche a cui spesso lo aveva relegato la ritrattistica. Le tele a tema sacro consacrano l’universalità dell’opera di Annigoni, rinforzano il legame con la tradizione e spalancano ad una dimensione di immaginazione compositiva a lui cara». La mostra offre appunto l’opportunità di un contatto emotivamente forte con i temi religiosi nei quali riconosciamo l’attenzione del Maestro al passato e ai suoi modelli iconografici ma ci apre ad un’interpretazione più intima, introspettiva, nella quale dubbi e riflessioni si intrecciano con le contraddizioni del tempo presente alla ricerca di un possibile riscatto e di una luce in alternativa al baratro davanti al quale le componenti più perverse della natura umana ci pongono.

 

L’UNIVERSO FEMMINILE

L’approccio figurativo alla rappresentazione del corpo umano dovrebbe comprendere l’intera e vasta produzione grafica e pittorica che ci ha lasciato Pietro Annigoni. Nell’indirizzo della mostra e del catalogo abbiamo voluto concentrare piuttosto l’attenzione sul rapporto tra Annigoni e l’altra ‘metà del cielo’ che, fondamentalmente, è per lui una fonte di ispirazione prioritaria, è un atto d’amore e una ‘missione’ attraverso un mondo di straordinaria ricerca compositiva e psicologica. La selezione di opere proposte al pubblico è sufficientemente esemplificativa di un’ampia articolazione di intenti in cui si impongono in primis studi propriamente rivolti alla natura del corpo femminile, i ‘nudi’, che il pittore ‘descrive’ fin da giovane con una forte espressività dinamica senza finti pudori tesa ad esaltarne la fisicità e la bellezza finanche nella componente più sensuale, dagli schizzi di prima intenzione fino alle pose più organicamente definite. La ‘nudità femminile’, analogamente a quella maschile pure affrontata dall’artista, è strumento di conoscenza ma anche modalità di inserimento in spazi costruiti dove la visione esterna di una composizione, come negli affreschi, implica il pieno controllo sulla forma fisica che sta sotto l’abito, come del resto si faceva nel passato.

Certo sorprende l’estrema libertà pure dei nudi non strettamente finalizzati ad altro ma in sé compiuti, realizzati in anni precoci dal pittore come taluni esempi qui esposti che rivelano la presenza vitale di giovani modelle in posa colte con acceso realismo ma che Annigoni vuole valorizzare nella purezza della loro prima maturità. Ve ne sono altri successivi, svolti più sommariamente in tecnica mista o china acquerellata, ma in cui si apprezza, una volta di più, il tratto sicuro che delinea con apparente facilità e padronanza morfologie e posture. Su un altro piano, ma sempre con quella passione emotiva che caratterizza il rapporto del Maestro con l’umanità femminile, si collocano i ritratti. La ritrattistica, del resto, è universalmente riconosciuta come una delle componenti che hanno reso celebre Annigoni nel mondo, specie dopo la realizzazione del primo Ritratto della Regina Elisabetta nel 1954‑’55. Nel percorso espositivo ve ne sono diversi in tecnica mista e tempera grassa ben definiti anche sul piano psicologico. Tra questi spicca il grandioso ritratto della baronessa Stefania von Kories, nobildonna di origine tedesca nata a New York e naturalizzata britannica che viveva nel quartiere londinese di Chelsea, scomparsa nel 2013, nota per la sua generosità e l’impegno civile nel campo della beneficenza e dell’aiuto ai diseredati che dispensava di persona. Il ritratto, del 1958‑’59, è davvero imponente oltre ad essere quello di maggiori dimensioni (3 metri x 2) con l’immagine frontale di una donna in piedi di una rara bellezza quasi mediterranea con pochi ornamenti e un portamento senza pari.

 

I PAESAGGI

Pietro Annigoni come pochi altri ha saputo declinare il tema del paesaggio secondo varie modulazioni visive ed interiori che hanno scandito il suo lungo percorso umano ed artistico. Per lui il paesaggio è stato in primo luogo osservazione dal vero. Da giovane, infatti, tra gli anni Trenta e Quaranta, aveva preso l’abitudine di effettuare lunghi viaggi a piedi tra l’Italia centro settentrionale ed alcuni paesi europei, in particolare la direttrice verso l’Austria e la Germania, per conoscere ed ‘archiviare’, attraverso schizzi e disegni su taccuini e album, luoghi e persone che incontrava di volta in volta lungo cammini ed itinerari. Così facendo sviluppò una straordinaria memoria visiva che gli consentì nel proseguo della carriera di evocare località e presenze umane assimilate dall’esperienza facendo al contempo ampiamente ricorso alla fantasia.

Da una simile approccio Annigoni poté realizzare un vasto repertorio di immagini frutto del suo personale ‘Grand Tour’ che continuò anche in epoche più avanzate, sia pure avvalendosi stavolta di comodi e moderni mezzi di trasporto che lo portarono nei decenni centrali del Novecento in giro per il mondo. Dal paesaggio osservato e vissuto trasse importanti spunti per realizzare e costruire grandi impianti compositivi come gli affreschi. Ma coltivava anche il gusto e il piacere, spesso in compagnia di amici e allievi, di dipingere en plen air piccole vedute da cavalletto nei dintorni di Firenze, in modo così da soddisfare anche le tante richieste di persone desiderose di possedere una sua opera. Per Annigoni la natura è vista spesso nella sua componente ancestrale e vitalistica di un genius loci in cui si animano e muovono forze ed energie misteriose I cari luoghi dell’infanzia, le escursioni nei dintorni di Firenze, i giorni estivi trascorsi in Versilia e sul Lago di Massaciuccoli sono momenti diversi ma complementari del suo personale percorso di vita in cui incrocia le tante suggestioni che incrementano il suo repertorio formale. Il tema del ‘viaggio’, che accomuna tanti scenari paesistici di Annigoni, si allarga dal ‘cortile di casa’ all’Europa e al mondo, di cui ha lasciato un gran numero di schizzi e disegni compiuti. Fuori dagli itinerari del mondo il paesaggio in Annigoni è funzionale piuttosto ad una elaborazione mentale e visionaria che trova nel rapporto con la natura una dimensione ‘noir’, cupa e inquietante tra ‘presenze’ misteriose e fantasmi veri o presunti. È questa una componente dell’arte di Annigoni non del tutto compresa o comprensibile che sembra potersi ricondurre ad una percezione essenzialmente pessimista della realtà che gli sta intorno, dalle miserie sociali osservate e indagate in gioventù ai postumi del secondo conflitto mondiale, dalla ricostruzione non sempre coerente e ordinata alle tensioni internazionali tra blocchi contrapposti fino al rischio di una conflagrazione nucleare globale. A queste ‘criticità’ si aggiungono probabilmente anche i tormenti personali e i rivoli più profondi del sentire del pittore che però appartengono solo a lui. In un simile contesto la natura non è più l’immagine della realtà del vero ma diventa strumento trasfigurato di tutto ciò che passa attraverso la mente e il ‘magnifico intelletto’ del Maestro e ciò che vuole rappresentare del suo modo di interpretare le vie più riposte dell’animo umano.

 

ANNIGONI E DE CHIRICO

Si è voluto proporre in mostra il tentativo appena accennato, e più ampiamente svolto nelle pagine del catalogo curate da Victoria Noel‑Johnson, di un confronto tra Giorgio de Chirico e Pietro Annigoni. De Chirico era più anziano di 22 anni rispetto ad Annigoni che lo considerò sempre con rispetto e, nella sua prima maturità, ne fu in qualche modo influenzato. Del resto, de Chirico diceva del più giovane collega꞉ «… lavora seriamente e va diritto per la sua strada senza badare a chiacchiere, snobismi o intellettualismi di questa nostra poca…», un giudizio che in bocca al pictor optimus, non certo indulgente nei confronti del panorama pittorico del suo tempo, suonava quasi come una consacrazione. Le opere esposte comprendono l’accostamento tra i due autoritratti dei nostri protagonisti che vivono uno spirito orgoglioso e battagliero simile e quel senso della sfida al mondo contemporaneo che, in qualche modo, li accomuna sia pure con sfumature diverse molto caratteriali e personali. Nel confronto si aggiungono anche le nature morte in composizioni spaziali non convenzionali e le vedute di alti giardini murati che evocano l’immagine classica dell’hortus conclusus.

 

ANNIGONI E MATARESI

Nella Città di Livorno che ospita la mostra non poteva mancare uno specifico richiamo ad uno dei massimi esponenti della pittura labronica del Novecento꞉ Ferruccio Mataresi (1928 – 2009). Mataresi, più giovane di Annigoni di 18 anni, ne fu allievo e amico e condivideva con lui, prima ancora della comune visione figurativa, un analogo spirito libero e schietto come, del resto, è nel temperamento più genuino dei Livornesi. Per la prima volta dopo la morte, il curatore di questa sezione, Fabio Sottili, propone una significativa selezione di opere di Mataresi, alcune delle quali autentici capolavori come Il macellaio o il Ritratto del Baritono Checchi, il primo dei quali direttamente affiancato in mostra al Cinciarda di Annigoni in un accostamento stringente ed estremamente suggestivo. Mataresi fu personalità di primo piano dell’arte toscana, specie nei decenni centrali del secolo passato in cui Livorno fu fulcro aggregante di iniziative culturali e letterarie, movimenti pittorici, premi vari in un clima di vivace confronto critico. Come Annigoni, Mataresi si applicò con talento e professionalità alla pratica del disegno e all’esercizio delle tecniche del disegno e della pittura lasciandoci saggi di indubbio fascino come le nature morte in tempera grassa e vedute livornesi in china acquerellata, oltre ai ritratti in sanguigna o china degni della sua militanza artistica maturata a contatto con Annigoni ma anche nel secolo della grande tradizione labronica.

 

SANGUIGNE

La sanguigna, realizzata con pastello o gessetto rosso sangue su carta, rappresenta una delle tecniche più utilizzate da Pietro Annigoni, sviluppata più o meno in concomitanza con la creazione dei grandi cicli di affreschi tra la fine degli anni Trenta e gli anni Ottanta del Novecento, dal Convento di San Marco a Firenze alla Basilica del Santo a Padova. Essa, infatti, si presta allo studio, in particolare, della figura umana, per la versatilità d’uso di punta e di sfumato volto all’esecuzione di ampie e calde campiture volumetriche su fogli di dimensioni medie e grandi che permette, anche con l’ausilio della quadrettatura, di misurare correttamente le proporzioni nello spazio compositivo.

L’impiego strettamente tecnico lascia poi spazio ad una destinazione commerciale della vasta produzione di questi saggi di studio e ricerca che focalizzano spesso singole componenti morfologiche, ma sufficientemente compiute ed esteticamente suggestive per renderli particolarmente ambiti dalla clientela. Certamente la sanguigna evidenzia più che mai il talento del pittore sul piano del disegno che costituisce la fonte primaria e la base del fare artistico di Annigoni. In questa sezione, curata di Luca Leoni, si propone una minima selezione di esempi, peraltro visibili anche in altre zone della mostra, che evidenziano tuttavia una articolata finalizzazione di soggetti, in particolare il bellissimo e raro autoritratto senile in sanguigna di inizi anni Ottanta qui esposto. Di solito, infatti, Annigoni nella fase finale della sua vita predilige raffigurare se stesso in tempera grassa e, quindi, un autoritratto così fortemente chiaroscurato è apprezzabile per la capacità espressiva data dalla pura e calibrata stesura dello sfumato.

Dall’esercizio strumentale per studio, analisi e ricerca verso la definizione di immagini compositive organiche e complesse, la sanguigna diventa genere autonomo in formato più piccolo che aiuta a incrociare la domanda di un mercato dell’arte particolarmente interessato ad Annigoni nella seconda metà del secolo scorso, con contenuti non di rado derivati dalle opere ad affresco. Sono di solito volti maschili o femminili che vanno ad integrare un altro filone fortunato, sul piano stilistico e mercantile, del repertorio annigoniano tra anni ’70 e ’80, ossia la litografia.

Locandina mostra Pietro Annigoni

 

APERTURA MOSTRA

15 dicembre 2023 – 15 marzo 2024

venerdì, sabato e domenica: 10.00-13.00 | 16.00-19.00

Ingresso gratuito

INFO: Museo Civico G. Fattori – Tel. 0586/824606 – 824607 – infomuseofattori@comune.livorno.it

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